riprendiamoci i sogni, quelli veri

5 luglio 2011

La biglietteria telematica dei treni è in tilt da settimane. Per prenotare un vagone letto Milano-Vasto e portare i bambini dalla nonna, mi rassegno a 75 minuti di coda allo sportello. In fila c’è ogni sfumatura di accento del Sud, centinaia di persone di cui immagino la storia, la ricerca di un lavoro, il sogno di una vita migliore, la quotidiana fatica. L’Italia semplice, vera. La maggior parte non potranno spendere 300 euro per il vagone letto (e non immaginatevi il grand hotel, ma un forno di latta in cui ci si può giusto sdraiare), raggiungeranno i parenti a Lecce, Bari, Taranto, Crotone, raggomitolati su un sedile. In fila siamo tutti ipnotizzati dai monitor che vomitano spot di vacanze esclusive, accessori esclusivi, auto esclusive. Sopra la mia testa un cartellone dice che “il lusso è un diritto”. Vorrei che i miei figli pensassero che l’unico diritto è avere delle possibilità, il diritto è un punto di partenza non è l’arrivo – quello sarà diverso per ognuno, secondo i talenti, l’impegno, il coraggio, anche la fortuna.

I pensieri rimbalzano, in coda allo sportello. Mi viene in mente una lettera giunta in redazione tempo fa, di una ragazza di 26 anni. Raccontava di avere appena iniziato a lavorare come maestra, parlava dei bambini della sua classe e si diceva felice perché era quello che desiderava da sempre. Poi, sul finale, aggiungeva che però gli amici le dicono che assomiglia moltissimo ad Alessia Marcuzzi, perciò ha pensato di chiedere a noi, allegando delle foto, se è vero, e chissà: magari anche lei potrebbe tentare la sorte in tivù. Siamo tutti vittime della fabbrica dei sogni sbagliati. Se non le avessero fatto credere che è molto più degno fare la showgirl che la maestra, il dubbio non le sarebbe mai venuto. Se non avessimo ridotto il mestiere più importante del mondo (quello di insegnare) a una specie di volontariato per supereroi disposti a stipendi da fame, a una vita precaria e al pubblico scherno, il dubbio non le sarebbe mai venuto; invece di pensare a un sogno di massa, velleitario e irraggiungibile ai più, quella ragazza avrebbe reclamato maggiori possibilità di realizzare il suo sogno.
La gente in coda si agita all’improvviso. Dopo ore di attesa i posti sono finiti. Volano urla di rabbia e di ragione, non ho diritto a un treno, in un Paese lungo duemila chilometri? Un’impiegata coraggiosa lascia lo sportello e viene a calmare la fila: non è colpa nostra, spiega, aggiungono linee veloci e tagliano le altre. Già, proprio ieri i giornali hanno annunciato che nel 2015 si andrà da Milano a Roma in due ore e 20, e mi viene in mente la regina Maria Antonietta, che prima di perdere la testa sotto la ghigliottina della rivoluzione francese, a chi le diceva che il popolo era senza pane aveva risposto: “Che mangino brioches”. Penso ai milioni di persone in difficoltà per la riduzione dei treni locali, penso a quelli che trarranno un reale vantaggio dal nuovo Milano-Roma e mi chiedo che percentuale saranno sul totale degli italiani che prendono il treno? Penso a quando è stata l’ultima volta che ho visto realizzare qualcosa di veramente utile per tanti, per la gente vera, come me, come gli altri in coda. E quando sarà la prossima. Penso al futuro della ragazza che assomiglia ad Alessia Marcuzzi e spero sceglierà di essere una maestra appassionata anziché una showgirl fallita. Penso ai sogni autentici, sorgivi, diversi per ognuno di noi, quelli che servono a spostare il confine più in là quel tanto che basta a darci il coraggio di osare per realizzarli. Stasera voglio raccontare ai miei figli la storia di Maria Antonietta, e del pane, che è un diritto. Non le brioches.

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Scritto da: Francesca Magni
(pubblicato su Donna Moderna n. 28, 2011)

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