il terzo romanzo di Hosseini vola ben oltre l’Afghanistan
(Khaled Hosseini E l’eco rispose)

20 giugno 2013

Khaled Hosseini E l’eco rispose (Piemme, 2013, traduzione di Isabella Vaj, € 19,90, pp. 462). Sono passati 9 anni da Il cacciatore di aquiloni e 6 da Mille splendidi soli, e i 38 milioni di lettori (4 solo in Italia) che hanno amato Khaled Hosseini possono finalmente leggere il suo terzo romanzo, in libreria da domani. E l’eco rispose ci riporta in Afghanistan, “Un paese con mille tragedie per chilometro quadrato”, come l’autore fa dire un suo personaggio, ma non solo. L’intreccio stavolta spazia nella geografia fisica e in quella umana dipingendo parabole esistenziali che il caso rende imprevedibili e predestina a esisti che sfuggono al dominio della volontà, e anche al lieto fine.

Il libro si apre con un padre afghano che racconta ai suoi figli la favola di un “div”, un demone, che bussa al villaggio in cerca di bambini. Vuole mangiarli? È ciò che tutti credono, ma la risposta non è scontata. Il mattino dopo questo racconto della buonanotte, quel padre attraversa a piedi il deserto  trainando su un carretto rosso la piccola Pari, di 3 anni. Abdullah, il figlio maggiore, li segue: non c’è stato verso di convincerlo a rimanere a casa. Sono diretti a Kabul, dove li aspetta una dura prova, una lacerazione che li segnerà per sempre.
È solo l’inizio di un intreccio di storie nelle quali ognuno influenza le vite di quelli che ama, spesso in modo tragico: lo zio Nabi che “si appropria” della nipote Pari dandole un destino imprevedibile a Parigi; Parwana che, senza volerlo, fa pagare alla sorella il proprio senso di inferiorità; Idris, medico esule in America, che non riesce a essere generoso anche se vorrebbe. Chi agisce bene? Chi male? “Ben oltre le idee di giusto o sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù” dice il verso del poeta afghano Rumi che apre il libro: a differenza dei primi due romanzi, qui non ci sono buoni e cattivi. Siamo tutti strumenti del caso e del destino altrui, sembra dire Hosseini. Ogni storia appare buona o cattiva a seconda del punto da cui la guardi, come la fiaba del div.
Questo romanzo così ricco di vicende che corrono avanti e indietro nel tempo e nello spazio, attraversa molti temi: l’amore tra fratelli, l’intensità dei sentimenti che diventa assoluta, in un villaggio polveroso dell’Afghanistan, dove non esiste la consolazione del benessere; l’avvicendarsi delle generazioni e il destino opposto di chi, per sopravvivere, è costretto a seguire l’istinto di abbandonare i propri vecchi e chi, per sopravvivere, è costretto a non lasciarli mai.
Poi c’è il titolo: E l’eco rispose. È il verso di una poesia di William Blake, spiega Hosseini. Perché lo abbia scelto, più che capirlo lo “senti”: ogni lacerazione affettiva produce qualcosa di simile a un’onda sonora che corre lontano da chi soffre fino a scontrarsi con un dolore complementare, per poi tornare a chi l’aveva prodotta. Può darsi che la risposta dell’eco arrivi tardi, ma arriva, magari per essere ascoltata dai figli.
Leggendo ci si sente su un ottovolante che stringe lo stomaco. Io ho pianto per il destino di Abdullah e di sua sorella Pari; per l’amore gay che Suleiman è costretto a reprimere. Ho sperato per Nila, poetessa triste, e per Thalia, figlia abbandonata. Ho provato vergogna per la debolezza di Idris, nella quale è impossibile non identificarsi. Ho attraversato tutte le ragioni per cui gli uomini si feriscono pur amandosi. E di questo sono grata a Khaled Hosseini che qui, secondo me, ha persino superato Il cacciatore di aquiloni.

Scritto da: Francesca Magni

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(Khaled Hosseini E l’eco rispose)”


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