tagliarsi in due per rinascere:
una poesia di Wislawa Szymborska

29 marzo 2011
Tempo di lettura: 3 minuti

Leggo il blog di un’amica, oggi parla di Wislawa Szymborska, poetessa polacca Premio Nobel, poetessa magnifica, quasi quint’essenza di poesia, quasi Rilke. Nel disordine della mia libreria, fra le doppie file che disperano, non trovo la raccolta che cerco (era Discorso all’ufficio oggetti smarriti, Adelphi), ma rintraccio di lei un volumetto Scheiwiller (2003, traduzione di Pietro Marchesani, € 11,00). Ogni caso, s’intitola, ed è a caso che lo apro, come sempre, annuso, lascio uscire, e una poesia mi trafigge, di una precisione chirurgica, in questo attimo. Ve la regalo. Ma leggetene altre, leggetela ancora.

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Autotomia

In caso di pericolo, l’oloturia si divide in due:

dà un sé in pasto al mondo,

con l’altro fugge.

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Si scinde d’un colpo in rovina e salvezza,

in ammenda e premio, in ciò che è stato e cià che sarà.

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Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso

con due sponde subito estranee.

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Su una la morte, sull’altra la vita.

Qui la disperazione, là la fiducia.

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Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.

Se c’è una giustizia, eccola.

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Morire quanto necessario, senza eccedere.

Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato.

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Già, anche noi sappiamo dividerci in due.

Ma solo in corpo e sussurro spezzato.

In corpo e poesia.

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Da un lato la gola, dall’altro il riso,

leggero, presto soffocato.

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Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,

tre parole piccole, soltanto, tre piume d’un volo.

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L’abisso non ci divide.

L’abisso ci circonda.

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[©Libri Scheiwiller 2003, Wislawa Szymborska]

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