Il bambino che disegnava parole
come continua la storia…

19 maggio 2019
Scritto da: Francesca Magni

E a un certo punto tutto cambia.

Non vivi più con un mattone nello stomaco dalle 8 all’una mentre lui è a scuola, non conosci più le pagine torturate del diario su cui segna i compiti, smetti di avere gli incubi la sera prima del colloquio con i prof.

Tutto quel dolore e quella rabbia e quella fatica stupidi e inutili si dissolvono in una certezza: se la scuola sa far sentire i ragazzi capaci, loro lo diventano.
E così, verso la fine del terzo anno di liceo, la domenica mattina lui è in camera con una compagna di classe e lo senti spiegarle le differenze tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele; Continua a leggere »

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Novembre, tempo di open day:
scappate, genitori, scappate!

17 novembre 2018
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scritto da: Francesca Magni

NOVEMBRE, TEMPO DI OPEN DAY. I genitori si affollano nelle aule magne delle scuole. Capitanato dal/dalla dirigente, il corpo docente è in grande spolvero. Al posto d’onore il prof arguto e il gigione; ove l’età lo consenta, gli allievi migliori si prestano a testimoniare la bontà della scuola, immancabile la “quota DSA”: il/la dislessico/a assicura di trovarsi benissimo. Continua a leggere »

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Memoria e memorie

20 luglio 2018
Scritto da: Francesca Magni

Quando mi accorsi che mia nonna iniziava a perdere la memoria, le chiesi di scrivere la sua storia. Lei ci si buttò con foga e allegria. Scriveva con una prosa personalissima e un piglio narrativo tutt’altro che banale. C’erano tracce della retorica insegnata a scuola negli anni del Fascio che il carattere asciutto di mia nonna aveva ripulito di ogni pomposità e che la sua arguzia condiva con un sapore quasi austeniano. Copiai sul computer per notti intere i diari vergati dalla sua calligrafia perfetta, mi esercitai in un virtuosismo di stampa a sedicesimi, che improvvisai componendo le pagine dritte e capovolte sul pavimento del soggiorno; portai i fascicoli fatti in casa da un rilegatore e ne feci poche copie di un volumetto dalle pagine cucite a filo che distribuii ai parenti. Si intitolava ‘Ruga Sciuca’, la via in cui era nata la nonna. Anni di dominazioni alternate austriache e francesi avevano lasciato traccia nella toponomastica e nel dialetto; ci mescoliamo anche senza volerlo, ci mescoliamo, è un destino a cui non possiamo opporci. Ci mescoliamo, è la nostra salvezza. Continua a leggere »

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Qui presento Il bambino che disegnava parole
(e ogni volta è una storia diversa…)

16 gennaio 2018
Avete ragione, pecco di monotonia, ma cosa devo fare, ogni volta è diversa. E ogni volta ho più paura… 😉 Ma non posso tirarmi indietro: in ogni presentazione, qualcosa di nuovo rotola fuori dalla storia, dal libro, dalla nostra vicenda familiare e da me… Quando sarà rotolato fuori tutto, be’ vi lascerò in pace (e da qualche parte mi toccherà ricominciare).
Ma dicevo: le prossime 3 presentazioni di Il bambino che disegnava parole.

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Il bambino che disegnava parole è in ristampa!
Grazie di 💛 a ognuno di voi

28 novembre 2017

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A 75 giorni dall’uscita, IL BAMBINO CHE DISEGNAVA PAROLE è in RISTAMPA!!! Le prime 5.200 copie, dunque, sono praticamente andate e altre 1.100 sono in arrivo (e con questo vi ho rivelato quanto stampa/vende un libro, ovvero uno dei segreti meglio custoditi dell’editoria italiana! ).
Voglio dire G R A Z I E a ognuno di voi singolarmente, Continua a leggere »

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Lunedì 27 novembre vi aspetto…
Il bambino che disegnava parole

24 novembre 2017

Una serata che per me sarà molto speciale. Perché per la prima volta accanto a me ci sarà mio marito, che da questa storia della “nostra” dislessia è uscito nuovo. Anche lui, qui, ha qualcosa di importante da raccontare. Soprattutto lui…
P.S. Ci saranno anche due attori fantastici a leggere brani del libro e non smetterò mai di ringraziare per questo privilegio.
P.P.S. Grazie a Silvia Negri e Isabella Viganò
P.P.P.S. Importante!!!! Mandate mail a Info@periplo.org per riservare i posti

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#dislessia La nostra storia, le vostre storie

13 novembre 2017

«Ogni storia personale è una storia universale» ha scritto Grazia Lodigiani parlando del mio libro. Grazia è una lettrice (e un po’ anche scrittrice), una delle tante incontrate in questi due mesi grazie a Il bambino che disegnava parole. Ogni giorno mi scrivete storie, le vostre che sono la mia, la mia che è le vostre. E più le leggo e le metto insieme, più provo sconcerto: ma se siamo così tanti e proviamo e viviamo le stesse cose, come è possibile che il senso della dislessia, la sua essenza neurobiologica non sia ancora univocamente, universalmente compresa, riconosciuta, assimilata, accettata? Poi penso: se siamo così tanti e proviamo e viviamo le stesse cose, è inevitabile che prima o poi accada: la dislessia universalmente compresa, riconosciuta, assimilata, accettata. Succederà presto. E sarà grazie a chi decide di raccontare e di raccontarsi. Continua a leggere »

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Lettera aperta a Daniele Novara
sulla dislessia (e non solo)

31 ottobre 2017
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scritto da: Francesca Magni

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[N.B. Per la risposta di Daniele Novara, scorrete sotto. Sotto ancora, la mia replica. Perdonate la lunghezza del post, ma ho ritenuto meglio tenere insieme l’intero scambio]

Buongiorno dottor Novara,

il 29 ottobre, a Uno Mattina, lei ha definito malattie mentali la dislessia, la discalculia, la disgrafia. Provocazione? Lo spero…

Sono la mamma di un “malato di mente” (studente al liceo classico), la “moglie di un malato di mente” (giornalista), la figlia di un “malato di mente” (chirurgo pediatra), la cognata di un “malato di mente” (fisico), la nuora di una “malata di mente” (insegnante di lettere). Sì, nella mia famiglia ci sono alcuni “dis”, ognuno con le proprie personalissime declinazioni di questa neurovarietà, chi dislessico, chi disgrafico, chi con difficoltà nella memorizzazione dei lessici specifici, a fronte di intelligenze piene se non sopra la media e di ottime carriere professionali.
Per ragioni anagrafiche solo uno, mio figlio ora 15enne, è certificato; gli altri si sono riconosciuti attraverso di lui e proprio grazie a questa “agnizione” (la scoperta della dislessia di mio figlio quando aveva 12 anni) hanno riletto le proprie personali peculiarità: si sono capiti meglio.

Io chiamo i dislessici i mancini dell’apprendimento. Le neuroscienze – non un atto di fede – oggi ci dicono che esistono persone con alcune reti neurali disposte in modo atipico

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Intervista a mio figlio dislessico

23 ottobre 2017
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Scritto da: Francesca Magni

Sono tre anni che parlo di lui. Ieri sera a tavola osservavo il suo profilo di ragazzo, il ciuffo biondastro, quella sua aria sempre a metà fra lo sperduto e il consapevole, e ho pensato: è ora di far parlare anche lui.

Filippo, ti va se ti intervisto?, dico prendendo carta e penna. Una cosa “professionale”.

Lui mi guarda indecifrabile mentre succhia un legnetto di liquirizia. Allontana la sedia dal tavolo, batte le mani sulle cosce e dice: Avanti, fammi una domanda.

Comincia così un dialogo che riporto con assoluta fedeltà. Continua a leggere »

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padri, madri: romanzi sulla dislessia
(Ugo Pirro Mio figlio non sa leggere)

9 ottobre 2017

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Scritto da: Francesca Magni

Ugo Pirro, Mio figlio no

n sa leggere (Rizzoli, 1981). Scrittore e sceneggiatore, nominato nel 1972 a due premi Oscar per uno dei miei film preferiti in assoluto, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Ugo Pirro ha una moglie americana e da lei un figlio bellissimo, Umberto, che inspiegabilmente non impara a leggere. Sono gli anni Settanta, quelli in cui nonostante da un secolo in Europa e in America si conosca la dislessia, in Italia non se ne sa quasi niente. Ugo Pirro si fa terapeuta autodidatta, si lancia da pioniere alla ricerca di metodi per aiutare il figlio, che con ogni evidenza è molto intelligente ma “cieco alle parole”, come disse James Hinshelwood, l’oculista londinese che nel 1895 scoprì la dislessia. In Italia, negli anni Settanta e fino a tempi molto molto recenti, casi come quelli di Umberto finivano nelle mani di psichiatri e psicanalisti, gettati in percorsi interminabili di disamina psicologica, psicoaffettiva, psicofuorviante, «il “dottore”, questa sfinge che il camice bianco rendeva un inquisitore diplomato, anziché un ingegnere delle anime, attribuiva la dislessia di Umberto a un disturbo affettivo. E sarebbe, dunque, bastato secondo lui curare quella carenza perché Umberto acquisisse finalmente l’automazione nella lettura e nella scrittura». Ugo Pirro intuisce la follia di quel malinteso, e lotta, da padre, come può; mentre con la madre di Umberto, così diversa per origini e approccio culturale, si allontana da lui. È storia di una doppia crisi, questo libro. La crisi familiare, inevitabile.

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