日本 d’oro e d’argento

30 dicembre 2010

Il cielo bianco di oggi non è riuscito ad appannare l’emozione della vista del tempio di Kinkaku-ji,  detto il Padiglione d’oro. Siamo a Kyoto e questa è una meta d’obbligo, l’ex buen retiro di uno shogun, costruito nel 1397, e diventato dopo la sua morte e per suo volere un tempio. In realtà l’edificio a pagoda ai bordi di un composto laghetto immerso tra pini giapponesi e tappeti di muschio che ci lascia a bocca aperta è stato ricostruito nel 1955, dopo che un monaco gli aveva dato fuoco. Identico all’originale, pare. E di certo bellissimo. Il terreno attorno è delimitato da recinzioni in bambù, ora verde e fresco ora secco e color oro, grosse canne legate tra loro con semplici corde. C’è un culto della natura che si rischia di fraintendere: qui le piante sono ovunque, gli edifici sono immersi nella natura e la accolgono al proprio interno sotto forma di materilai, simmetrie, prospettive e vedute. Ma la natura è piegata dall’uomo, plasmata con forte dolcezza. Ci sono pini giapponesi le cui fronde da un lato vengono legate e guidate in modo che scendano a formare una specie di tetto spiovente, l’amore per l’asimmetria regna sovano. Assimmetria, ma ordine. Come nei giardini zen, coi sassolini pettinati a formare delle onde, che vediamo nel parco del tempio Daitoku-ji, attorno a quelli che oggi sono templi, ma erano le abitazioni di monaci zen. Qui c’è anche la casa di un famoso shogun, ed è un vero spettacolo per la sua modernità (è del Seicento) e per il matrimonio – se veramente d’amore non saprei – fra uomo e natura: i rubinetti fanno scendere l’acqua su grate di bambù che fungono da lavandini lasciandola gocciolare sul terreno sottostante la casa, che  è leggermente sollevata; le stanze hanno pareti di carta di riso quasi del tutto apribili sull’esterno, dove tutto è muschio e bosco di bambù.

Da questa che è la zona ovest di Kyoto ci spostiamo a est attraversando la città che ha ampie strade e palazzi modernissimi, spesso poco belli, fino ai bordi di una zona collinare su cui sorgono molti templi: la meta, per noi, è Ginkaku-ji, il cosiddetto tempio d’argento. A costruirlo fu il nipote dello shogun del tempio d’oro; voleva emulare il nonno ricoprendo di scaglie d’argento l’edificio a pagoda, ma finì i soldi prima dell’impresa, lasciando comunque un tempio bellissimo, immerso in una natura stupefacente, corredata da un ingegnoso giardino zen completo di monte Fuji riprodotto con sassolini. Le aree in cui si trovano i templi sono tutt’altro mondo rispetto al resto della città. Un altro ossimoro giapponese: palazzacci moderni e grattacieli avveniristici talvolta dalle linee impazzite si dividono lo spazio con castelli, ville e templi con tetti spioventi e arricciati. E tanto sul passato quanto sul presente si posa la mano decisa dei giapponesi, che  decidono di costruire torri altissime in pochi mesi, e non hanno soggezione delle eredità del passato: i templi scintoisti vengono distrutti e ricostruiti ogni vent’anni.

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