Storia di una dislessia – cap. 8
GRAMMATICA DRAMMATICA
di Francesca Magni
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Questo pezzo lo sintitolo “Grammatica Drammatica”. No, sintitolo non è un refuso ma un neologismo, l’ha coniato Filippo anni fa e abbiamo ritenuto giusto acquisirlo almeno al lessico familiare – per quanto, anche lo Zingarelli dovrebbe farci un pensiero. Se la forma di coniugazione più usata è ‘s’intitola’, perché non rendere tutto più logico e… sintitolare? 😉
Un dislessico ha bisogno di logica, per imparare. Ma la grammatica non è logica, è capricciosa, mutevole, ordinata da regole che essa stessa smentisce, l’ho sempre considerata un gattino bizzoso che ora si struscia e un attimo dopo ti graffia. Filippo, capace di sintesi fulminanti, ha archiviato la materia con un cambio di iniziale: GRAMMATICA… DRAMMATICA.
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Come dargli torto? Alla sensatezza di passato prossimo e passato remoto, subito chiari a tutti, la grammatica affianca avverbi e preposizioni che si rivelano logici solo a chi abbia già studiato il latino (ad verbum, pre positionem), per non dire poi dell’enigmatico congiuntivo: non so voi, io non ho mai capito perché si chiami così. Ricordo che, benché fossi abile con le parole, non lo memorizzavo. La parola congiuntivo non mi evocava nulla, la confondevo con congiunzione, mi faceva venire in mente congiuntivite, mi mandava insieme la vista. Tuttavia ero e sono, per buona sorte, dotata di un modo mio (ditemi il vostro!) di memorizzare le parole: le fotografo. Per me ogni parola con il relativo suono è una forma grafica, un disegno. È così che uscivo trionfante dai dettati di francese, pronuncia uguale grafema, di rado avevo dubbi su come si dice una parola inglese: per me file si legge “fail” e al più mi capita di leggere un testo italiano con file e scivolare nella pronuncia inglese. Ma sono inconvenienti da poco, e per distinguere congiuntivo da congiunzione mi è bastato fotografarne meglio le lettere finali. Cosa poi mi aiutasse ad associare la parola congiuntivo a ‘che io sia’ e ‘che io fossi’, davvero non lo so, ma succedeva. Bastava ripetere ad alta voce più volte e l’associazione presto o tardi si formava e restava lì, scolpita in un imprecisato punto del cervello, pronta all’uso.
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Nel cervello di mio figlio, invece, questo non accade, o richiede tempi molto lunghi e fatiche dall’esito non permanente. Non associa nomi-etichetta e concetti. Sono incalcolabili i fogli su cui gli ho scritto e riscritto le coniugazioni dei verbi; la prima volta era in terza, sembrava averli imparati, ma al compito successivo erano volati via e allora scriviamoli di nuovo, presente e imperfetto, passato prossimo e piuccheperfetto, a coppie perché se c’è una logica è più facile, ma niente, era come scrivere con un pennarello sulla plastica. Intendiamoci, sapeva coniugare perfettamente qualsiasi verbo in ogni modo e tempo, ma non sapeva associarlo all’etichetta modo-tempo. Ancora oggi, la catalogazione è incerta. E il fatto che io pensi che lui possa imparare il latino e il greco facendo a meno di queste etichette, non mi fa certo illudere che troverà insegnanti in grado di capirlo e accettarlo.
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“I dislessici escono dall’esperienza scolastica più forti, sviluppano strategie e visioni, alla fine hanno una marcia in più”. Lo ha detto Francesco Riva nel suo bellissimo spettacolo DISlessiA, Dove sei Albert?, 22 anni, attore, dislessico, racconta di un ragazzino come lui, di insegnanti che non capiscono e poi di un maestro Andrea che trova il modo di fargli imparare tutto quello che c’è da imparare. Già, più forti, ma a che prezzo? E quanti molleranno prima, abbandonandosi a sfiducia e disistima? Nessuno dà 10 a un dislessico diceva una ragazzina dotata di realismo, perché i voti nella scuola di oggi non valutano né quello che sai né il progresso che hai fatto: misurano semplicemente la conformità della tua prova (compito, test, verifica, interrogazione) a un modello dato.
Nessuno si preoccuperà di scoprire se Filippo sa tradurre in latino ‘io amai’, perché invece gli chiederanno “il perfetto* del verbo amare”… e il verbo amare non è perfetto quasi mai, e lui, già lo so, si perderà in questo pensiero, si inerpicherà lungo sentieri filosofici, penserà ai poeti e alle canzoni e via, lontano dalla grammatica-drammatica per lande inabitate dove nessuno avrà il tempo, la voglia, la curiosità di seguirlo, e quando lo costringeranno a tornare, sbaglierà la risposta.
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Eppure.
So che c’è un eppure, ce n’è sempre uno che permette di scartare di lato e proseguire. Ma vi confesso che stavolta fatico a trovarlo. Gli insegnanti sono come sono, sono come tutti noi, ce n’è di meravigliosi e sensibili e di ottusi e disinteressati. Li ho incontrati tutti, in questo anno di fatiche, colloquio dopo colloquio, mi sembrava di portare il manuale di istruzioni di mio figlio, sa lui funziona così, se prova in questo modo vedrà che risponde giusto. Ma quanti avevano davvero voglia di capire? Per quanti la dislessia è un handicap, un intralcio, una scusa, una fissazione di alcuni, un lavoro in più, una gran palla?!
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C’è sempre un ‘maestro Andrea’, anche noi lo abbiamo trovato, è una professoressa intelligente e amante delle vie non convenzionali, è, nel consiglio di classe, una su nove, combatte accanto a noi, è stata la prima a riempire d’acqua la cisterna prosciugata dell’autostima di Filippo. Ma per una goccia che lei riesce a far sgorgare altri lavorano a disseccare e io so che il mio tempo sta per finire: al liceo sarà solo, non potrà certo la mamma portare ai professori il suo manuale di istruzioni. Potrò solo continuare a raccontare e raccontare perché sempre più gente si incuriosisca, conosca, capisca.
A proposito, conoscete Giacomo Stella, docente di Psicologia Clinica e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia? Ha appena scritto un libro meraviglioso, edito da Giunti: Tutta un’altra scuola. Parla di una buona scuola adatta a tutti, dislessici inclusi… presto ve ne parlerò! E… troverò il modo di farne arrivare un po’ di copie nella sala professori della scuola… 😉
Stay tuned!
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*in latino si chiama “perfetto” il passato remoto
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>>continua
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Qui tutti i capitoli della storia:
Storia di una dislessia – cap. 1 EPIFANIA
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Storia di una dislessia – cap. 2 CREDEVO DI ESSERE SCEMO
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Storia di una dislessia – cap. 3 È QUALCOSA
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Storia di una dislessia – cap. 4 LA MALEDIZIONE DEI NOMI PROPRI
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Storia di una dislessia – cap. 5 SIAMO TUTTI DISLESSICI?
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Storia di una dislessia – cap. 6 COSA PROVA UN DISLESSICO A SCUOLA
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Storia di una dislessia – cap. 7 LA CERTIFICAZIONE: OGGI È UN MALE NECESSARIO
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Storia di una dislessia – cap. 8 GRAMMATICA DRAMMATICA
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Tags: dislessia, disturbi specifici di apprendimento, DSA, mio figlio è dislessico, storia di una dislessia
Congiuntivo era un vecchio un po’ supponente e quando attaccava a parlare non la smetteva più: continuava con tutti quei ‘che’ a mettersi in mostra.
Lo ascoltava un suo coetaneo Condizionale
Lui sempre così indeciso avrebbe voluto essere diverso ma era pauroso, non come quell’altro vecchio, l’ Imperativo, che dava ordini a tutti! I tre vecchi erano tanto diversi ma alla fine non potevano fare a meno l’ uno dell’ altro.
Così ho imparato i verbi e tante altre cose.
Semplicemente geniale! 😉
Conosco molto bene l’insegnante “amante delle vie non convenzionali” a cui fa riferimento e le posso assicurare che ha amato Filippo fin dal primo giorno in cui lo scorso anno lo ha incontrato. Me ne ha parlato moltissimo, si struggeva per la sofferenza che questo ragazzo mostrava, abbiamo sorriso per l’ironia e l’intelligenza con cui affrontava le varie situazioni ma c’era sempre qualcosa che rimaneva in sospeso… Poi si é profilata l’ipotesi della dislessia ed é stato come riconoscere che “il re era nudo” e da quel momento le difficoltà sono state dicibili e quindi affrontabili.
Sicuramente non sarà facile ma forse un po’ meno difficile.
È proprio vero, Raffaella. Poter chiamare per nome un problema permette di circoscriverlo e affrontarlo. Oggi Filippo ha sostenuto la prova orale dell’esame di terza, è stato libero e forte, correva sui concetti seguendo con passione il filo del discorso che aveva messo insieme in questi mesi, tante materie collegate da una parola chiave: il sorriso. Quando me lo raccontò la prima volta rimasi perplessa, non capivo come si potesse partire da una parola così bizzarra… Ma la sua insegnante la sapeva molto più lunga di me. Oggi ho capito anch’io, quella era la chiave di tutto: era la sua nuova presentazione al mondo, eccomi, adesso sono uno che sorride, non sono più solo il bambino bizzarro, filosofo e tormentato che sono stato finora (…non sapete che fatica ha fatto a trovare, per la copertina della tesina, una sua foto sorridente!). È stato spigliato, ha detto cose sensate, alcune più grandi di lui ma comunque ben intuite, e soprattutto ha sorriso per tutto il tempo dell’esame, lieto di essere dov’era: nei propri panni. Tutto questo grazie all’insegnante che ha creduto in lui e a cui saremo sempre grati
Ho letto gli articoli, grazie ad Antonella Corengia che li ha segnalati, poi li rileggerò meglio. Da insegnante trovo che sia tutto vero, e capisco il problema perchè so che ciascuno di noi ha almeno qualche filo collegato male, ma che anche/proprio per questo l’approccio della scuola, e la burocrazia con cui sostituisce i contenuti, ed anche il meccanismo stesso della certificazione, non siano un bel sistema per risolvere le cose. Mi piacerebbe parlarne insieme. In che scuola andrà, il giovanotto?
Grazie Sergio, condivido ogni tua parola, e grazie per quella frase bellissima, “so che ciascuno di noi ha almeno qualche filo collegato male”… Anche a me piacerebbe parlarne con te (possiamo darci del tu?). Ti lascio la mia mail frmagni@mondadori.it A presto!
PS il giovanotto ha scelto il liceo classico. Ambizioso, temerario, appassionato… speriamo bene… 😉
ciao,ho letto le tue pagine . ne ho lette tante in questi 10 anni ma le tue sono speciali forse perché’ hai il dono della scrittura e non solo …rassicurati sei la mamma perfetta per un figlio dislessico ,intelligente,acuta,sensibile ,colta,stravagante,fuori dagli schemi,forte.come lo so? sono come te.non scriverei mai una frase cosi’ superba riguardo me stessa se non ci fosse in gioco il futuro di mio figlio ma proprio per questa ragione vado diretta al punto senza ipocrisie inutili.e’ cosi’ raro trovare qualcuno come te in questa giungla e mi piacerebbe poter scambiare con te idee,opinioni conoscenze riguardo questo tema.leggendoti intuisco(sono del cancro e tu?)che insieme forse ….hai la mia e-mail mi chiamo giovanna ho 52 anni e vivo a venezia mio figlio17 anni a giorni. probabilmente ti sembrerò’ una matta ma credimi sto solo cercando vie alternative.
Ciao, sto cercando di studiare grammatica con mio figlio Luca.
E cercando idee sul web mi sono imbattuta nelle vs parole e mi sono commossa…
Per la prima volta sento che altri capiscono il mio vissuto le mie emozioni, la mia fatica, le mie paure… ho quattro figli di cui per ora due certificati come dsa
Oramai il primogenito che mi ha insegnato cosa sia la dislessia sta imparando a gestire da da solo (o quasi) il suo rapporto con la scuola, con Luca invece siamo agli inizi
Quando devo spiegare la fatica di Claudio e luca a chi vede solo i buoni voti e non coglie il valore della compensazione, dico che seguire la didattica normate x loro è come camminare in salita con uno zaino carico di sassi… sassi inutili che rendono faticoso il cammino senza motivo, non si parla di acqua utile durante la calura, ma di sassi che alla fine del percorso non cambiano nulla se non la fatica richiesta…
Grazie a tutti x ogni parola spesa. Ora continuerò a camminare con i miei figli e a mostrare a tutti il loro “libretto d’istruzioni”. Buona continuazione