Ricciardi e Ponzetti:
i commissari “di carta” creati da
Maurizio De Giovanni e Giovanni Ricciardi

2 novembre 2011

I quattro libri  de Le stagioni del commissario Ricciardi mi erano appena arrivati, in edizione tascabile Fandango. Da un rapido sguardo, mi aveva colpito che fossero ambientati a Napoli in epoca fascista. Ma è stata un’amica a spingermi a leggere – ho sempre bisogno di un buon motivo per aprire un giallo. Nell’imbarazzo della scelta, decido di cominciare dal primo, Il senso del dolore – L’inverno del commissario Ricciardi, uscito nel 2007, esordio di Maurizio De Giovanni impiegato di banca napoletano che si reinventa scrittore grazie a un concorso letterario. Ora mi asterrò dal rivelare la trama, difetto a cui sono incline e che con un giallo non mi perdonereste, vi dico solo che ruota attorno al teatro San Carlo e che la vittima è un tenore di pessimo carattere e di gloriosa fama trovato morto con la scheggia di uno specchio nella gola. Al centro, ovviamente, c’è il commissario. Luigi Alfredo Ricciardi, 31 anni, che «a vederlo da lontano era un uomo senza caratteristiche evidenti: statura media, corporatura media, abbigliamento di medio valore». Ma un segno particolare ce l’ha, è «un dolore che era un antico compagno», dal giorno in cui, bambino, trovò un morto ammazzato in campagna. Ora lo chiama il Fatto, è il dono tragico di vedere i morti ammazzati e sentire le loro ultime parole, cogliere il senso del dolore, un peso che Ricciardi si porta appresso senza riuscire a posarlo, che distorce la sua considerazione dei sentimenti, rendendolo involontario interprete delle emozioni altrui quanto analfabeta delle proprie: non c’è un amore, nella sua vita, «solo una mano che ricama, osservata da troppo lontano», quella di Enrica, che tiene l’ago con la sinistra e ogni sera lavora alla finestra della casa di fronte. È il Fatto a rendere Ricciardi un commissario d’eccezione, un segugio che non molla, un uomo che agisce quasi mosso da un desiderio di personale vendetta, o meglio, di risarcimento del male. Infatti il finale di questo giallo non si esaurisce nell’assicurare un assassino alla giustizia. È piuttosto un rimettere le cose in ordine.

Dei libri di De Giovanni si è detto un gran bene e ora Einaudi ha pubblicato Per mano mia – Il Natale del commissario Ricciardi (€ 18,00, pp. 313) episodio inauguarle di una nuova serie (dopo le stagioni, le festività del commissiario). In effetti, per quello che ho letto – il primo e parte di questo ultimo – è scritto bene, muove coralmente personaggi interessanti come don Pierino, una specie di voce della ingarbugliata coscienza di Ricciardi, uno di quei personaggi che aiutano a far evolvere il protagonista e al tempo stesso a metterne in luce il pensiero. Ecco: Ricciardi ha un pensiero, «aveva capito ben prima di studiarlo sui libri che il delitto è la faccia oscura del sentimento: la stessa energia che muove l’umanità la devia, fa infezione e suppura esplodendo poi nell’efferatezza e nella violenza. Il Fatto gli aveva insegnato che la fame e l’amore sono all’origine di ogni infamia, in tutte le forme che possono assumere: orgoglio, potere, invidia, gelosia. Sempre e comunque la fame e l’amore. Li trovavi in ogni delitto, una volta semplificato, eliminati gli orpelli dell’apparenza» (p. 21). Però.

Secondo me Ricciardi (o meglio, De Giovanni) coltiva solo superficialmente quell’idea del male, non la sente in profondità così che solo un dettaglio ricordato qua e là dallo scrittore, non riesce a diventare un tratto fondante della personalità del commissario. Penso ai personaggi di Jonathan Franzen, di Elizabeth Strout, ma anche di Abraham Yehoshua: sono delineati con una tale autenticità psicologica che tutto quello che fanno è emanazione del loro essere: niente è posticcio, niente è descritto, tutto è conseguente, si genera in modo naturale. Sono persone vere.

Ricciardi è interessante, lo riconosci in fretta come deve essere per ogni buon commissario seruale, ma avrebbe bisogno di “infilare dentro”, in profondità, la sua visione del mondo e del male, di masticarla, digerirla, metabolizzarla per poterla esprimere senza che l’autore ce la debba ricordare. Lo stesso direi dell’ambientazione: perché scegliere l’epoca fascista, contesto storico interessantissimo, per farne una quinta teatrale che non agisce e non reagisce?

Quest’estate ho letto e recensito Il silenzio degli occhi di Giovanni Ricciardi (buffa l’omonimia col personaggio di De Giovanni): è la terza puntata di una serie di gialli che hanno per protagonista Ottavio Ponzetti, un commissario romano dei giorni nostri. Ecco, Ponzetti è ben caratterizzato quanto il collega Ricciardi, ma in più ha un’anima, è un uomo vero, non sempre perfetto, schivo in modo spontaneo, affettuosissimo con le figlie, uno dentro cui senti un calore autentico: e questo rende le sue azioni all’interno della trama non solo coerenti e comprensibili ma naturali. Come se non potessere fare diversamente essendo come è. E questo lo rende, secondo me, un personaggio meglio riuscito.

Mi piacerebbe che leggeste un libro del commissario Ricciardi e uno del commissario Ponzetti: poi mi dite cosa ne pensate?

I libri di Maurizio De Giovanni:

1/ Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi (Fandango, 2007)

2/ La condanna del sangue. La primavera del commissario Ricciardi (Fandango, 2008)

3/ Il posto di ognuno. L’estate del commissario Ricciardi (Fandango, 2009)

4/ I giorni dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi (Fandango, 2010)

5/ Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi (Einaudi, 2011, € 18,00)

I libri di Giovanni Ricciardi:

1/ I gatti lo sapranno (Fazi, 2008)

2/ Ci saranno altre voci (Fazi, 2009)

3/ Il silenzio degli occhi (Fazi, 2011)

Scritto da: Francesca Magni

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Maurizio De Giovanni e Giovanni Ricciardi”


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