Ricciardi e Ponzetti:
i commissari “di carta” creati da
Maurizio De Giovanni e Giovanni Ricciardi
I quattro libri de Le stagioni del commissario Ricciardi mi erano appena arrivati, in edizione tascabile Fandango. Da un rapido sguardo, mi aveva colpito che fossero ambientati a Napoli in epoca fascista. Ma è stata un’amica a spingermi a leggere – ho sempre bisogno di un buon motivo per aprire un giallo. Nell’imbarazzo della scelta, decido di cominciare dal primo, Il senso del dolore – L’inverno del commissario Ricciardi, uscito nel 2007, esordio di Maurizio De Giovanni impiegato di banca napoletano che si reinventa scrittore grazie a un concorso letterario. Ora mi asterrò dal rivelare la trama, difetto a cui sono incline e che con un giallo non mi perdonereste, vi dico solo che ruota attorno al teatro San Carlo e che la vittima è un tenore di pessimo carattere e di gloriosa fama trovato morto con la scheggia di uno specchio nella gola. Al centro, ovviamente, c’è il commissario. Luigi Alfredo Ricciardi, 31 anni, che «a vederlo da lontano era un uomo senza caratteristiche evidenti: statura media, corporatura media, abbigliamento di medio valore». Ma un segno particolare ce l’ha, è «un dolore che era un antico compagno», dal giorno in cui, bambino, trovò un morto ammazzato in campagna. Ora lo chiama il Fatto, è il dono tragico di vedere i morti ammazzati e sentire le loro ultime parole, cogliere il senso del dolore, un peso che Ricciardi si porta appresso senza riuscire a posarlo, che distorce la sua considerazione dei sentimenti, rendendolo involontario interprete delle emozioni altrui quanto analfabeta delle proprie: non c’è un amore, nella sua vita, «solo una mano che ricama, osservata da troppo lontano», quella di Enrica, che tiene l’ago con la sinistra e ogni sera lavora alla finestra della casa di fronte. È il Fatto a rendere Ricciardi un commissario d’eccezione, un segugio che non molla, un uomo che agisce quasi mosso da un desiderio di personale vendetta, o meglio, di risarcimento del male. Infatti il finale di questo giallo non si esaurisce nell’assicurare un assassino alla giustizia. È piuttosto un rimettere le cose in ordine.
Dei libri di De Giovanni si è detto un gran bene e ora Einaudi ha pubblicato Per mano mia – Il Natale del commissario Ricciardi (€ 18,00, pp. 313) episodio inauguarle di una nuova serie (dopo le stagioni, le festività del commissiario). In effetti, per quello che ho letto – il primo e parte di questo ultimo – è scritto bene, muove coralmente personaggi interessanti come don Pierino, una specie di voce della ingarbugliata coscienza di Ricciardi, uno di quei personaggi che aiutano a far evolvere il protagonista e al tempo stesso a metterne in luce il pensiero. Ecco: Ricciardi ha un pensiero, «aveva capito ben prima di studiarlo sui libri che il delitto è la faccia oscura del sentimento: la stessa energia che muove l’umanità la devia, fa infezione e suppura esplodendo poi nell’efferatezza e nella violenza. Il Fatto gli aveva insegnato che la fame e l’amore sono all’origine di ogni infamia, in tutte le forme che possono assumere: orgoglio, potere, invidia, gelosia. Sempre e comunque la fame e l’amore. Li trovavi in ogni delitto, una volta semplificato, eliminati gli orpelli dell’apparenza» (p. 21). Però.
Secondo me Ricciardi (o meglio, De Giovanni) coltiva solo superficialmente quell’idea del male, non la sente in profondità così che solo un dettaglio ricordato qua e là dallo scrittore, non riesce a diventare un tratto fondante della personalità del commissario. Penso ai personaggi di Jonathan Franzen, di Elizabeth Strout, ma anche di Abraham Yehoshua: sono delineati con una tale autenticità psicologica che tutto quello che fanno è emanazione del loro essere: niente è posticcio, niente è descritto, tutto è conseguente, si genera in modo naturale. Sono persone vere.
Ricciardi è interessante, lo riconosci in fretta come deve essere per ogni buon commissario seruale, ma avrebbe bisogno di “infilare dentro”, in profondità, la sua visione del mondo e del male, di masticarla, digerirla, metabolizzarla per poterla esprimere senza che l’autore ce la debba ricordare. Lo stesso direi dell’ambientazione: perché scegliere l’epoca fascista, contesto storico interessantissimo, per farne una quinta teatrale che non agisce e non reagisce?
Quest’estate ho letto e recensito Il silenzio degli occhi di Giovanni Ricciardi (buffa l’omonimia col personaggio di De Giovanni): è la terza puntata di una serie di gialli che hanno per protagonista Ottavio Ponzetti, un commissario romano dei giorni nostri. Ecco, Ponzetti è ben caratterizzato quanto il collega Ricciardi, ma in più ha un’anima, è un uomo vero, non sempre perfetto, schivo in modo spontaneo, affettuosissimo con le figlie, uno dentro cui senti un calore autentico: e questo rende le sue azioni all’interno della trama non solo coerenti e comprensibili ma naturali. Come se non potessere fare diversamente essendo come è. E questo lo rende, secondo me, un personaggio meglio riuscito.
Mi piacerebbe che leggeste un libro del commissario Ricciardi e uno del commissario Ponzetti: poi mi dite cosa ne pensate?
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I libri di Maurizio De Giovanni:
1/ Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi (Fandango, 2007)
2/ La condanna del sangue. La primavera del commissario Ricciardi (Fandango, 2008)
3/ Il posto di ognuno. L’estate del commissario Ricciardi (Fandango, 2009)
4/ I giorni dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi (Fandango, 2010)
5/ Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi (Einaudi, 2011, € 18,00)
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I libri di Giovanni Ricciardi:
1/ I gatti lo sapranno (Fazi, 2008)
2/ Ci saranno altre voci (Fazi, 2009)
3/ Il silenzio degli occhi (Fazi, 2011)
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Scritto da: Francesca Magni
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Sarà fatto!
Ti fornisco i libri, ovviamente!
In risposta a Francesca Magni
Ho incontrato la scrittura di Maurizio de Giovanni in modo del tutto casuale, d’estate quando il tempo per leggere è maggiore e si desidera qualcosa di poco impegnativo.
Le avventure del commissario solitario dagli occhi verdi mi erano state consigliate da un’amica, ho accettato senza tanto entusiasmo. Non sono una patita di noir, di letteratura gialla: l’ho sempre associata all’immagine di sangue, squartamenti, morti violente, assolutamente lontane dalla mia sensibilità.
Però, la curiosità questa volta ha vinto. Vuoi per il fatto che l’azione si svolge sempre a Napoli, la mia città d’origine e di riferimento culturale, vuoi perché le storie sono ambientate negli anni ’30 che ho conosciuto attraverso i racconti dei miei genitori.
Iniziare a leggere ed appassionarmi è stato tutt’uno. L’aspetto poliziesco e i particolari più truculenti non mi colpivano più di tanto. Era tutto il resto che mi coinvolgeva , i personaggi tragici e comici, i profumi e i miasmi, i sentimenti forti e senza mezze misure, l’aria che riuscivo a respirare attraverso quelle pagine.
Ammaliata da questo immenso patrimonio di passioni, dimenticavo la trama del noir, la consideravo un mezzo per godere d’altro.
Questo il mio approccio con l’opera ricciardiana di de Giovanni.
Poi, per le stranissime coincidenze che ci regala la vita, ho finito per “lavorare” per Ricciardi e con Ricciardi, collaborando con Maurizio de Giovanni alla ricostruzione storica della vita della Napoli di quegli anni attraverso faticose quanto divertenti ricerche storiche bibliografiche e documentali.
Ritengo, quindi, di avere titolo a rispondere ai dubbi di Francesca Magni sull’ordito narrativo ricciardiano.
Premetto che non farò alcun paragone con la produzione di Giovanni Ricciardi (…le famose stranezze della vita!) perché non la conosco a fondo. E considero questa sarà una buona occasione per iniziare.
Ricciardi o meglio Luigi Alfredo, come amo chiamarlo io, è un uomo che non innamora subito il lettore: è distante, algido, un po’ “sprucido” si dice a Napoli, scontroso.
Eppure è un uomo che fa innamorare le donne , stimolando in loro un sentimento di materna attenzione misto ad una forte attrazione sessuale.
De Giovanni gioca con abilità su questo doppio ruolo, e dopo poche centinaia di pagine Luigi Alfredo è uno dei nostri. Perché dietro quella scorza di impenetrabilità il lettore percepisce tutta la sensibilità di quest’uomo combattuto tra la sua condanna, al limite della follia, di vedere e sentire i morti ammazzati per morte violenta e la voglia smisurata di una vita “normale” rallegrata da sentimenti “normali”.
Vorrebbe l’amore, vorrebbe la fede, vorrebbe un carattere più gioviale. Ma non può, non gli riesce. Non ne ha la forza, schiacciato com’è da questa sua condanna paranormale.
Analogamente, Napoli, la dolente e chiassosa città martoriata dalla fame e dalla miseria, allora come oggi, vorrebbe opporsi al regime, vorrebbe evitare gli stenti. Ma non può non le riesce, schiacciata com’è da un potere ottuso e profittatore.
Vi sembra poco tutto questo sovrapporsi di piani di lettura? Vi sembra poco aver creato personaggi che tratteggino problematiche di vita, assolutamente atemporali? Vi sembra poco aver fotografato una Napoli senza alcuna indulgenza all’oleografia, ma allo stesso tempo sensuale come una sirena pompeiana?
Aver limitato la conoscenza letteraria dell’autore al primo romanzo e a una parte del quinto, spiega la difficoltà di cogliere a pieno il valore dello sviluppo narrativo della saga ricciardiana.
Non aver letto la produzione letteraria che c’è nel mezzo determina un’incapacità di seguire e comprendere la maturazione artistica dell’autore e dei suoi personaggi. Le storie di Luigi Alfredo costituiscono un unico percorso letterario e una lettura sommaria e frammentaria non è accettabile per esprimere un giudizio sereno e completo.
Quindi, una raccomandazione.
Leggete tutti i romanzi di Maurizio de Giovanni, possibilmente in successione cronologica, e capirete che le storie sono animate da persone vere, situazioni vere, sentimenti veri.
Realtà semplici, verità complesse. Raccontate con delicatezza, forte ed incisiva.
Che non si dimentica.
Confesso di non conoscere questi due autori, ma proprio per questo sono molto incuriosita, soprattutto dai libri di De Giovanni. I generi giallo/noir/thriller non sono precisamente i miei preferiti, ma l’ambientazione in epoca fascista delle storie del commissario Ricciardi mi ispira: dietro assassinii, indagini e sospetti, c’è anche tutta la ricostruzione storica che, secondo me, rende ancora più interessante le vicende! Mi regalerò “Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi”, viste le temperature sempre più rigide e il Natale sempre più vicino, così comincio dal principio e non mi perdo qualche particolare imperdibile!!
Cara Annamaria, grazie per questa appassionata disamina del personaggio e del suo mondo. Aver letto il primo libro e parte dell’ultimo può effettivamente non essere sufficiente per un’ultima parola, specie se il personaggio seriale è di quelli che evolvono col tempo e con lo scrittore. Darò a Luigi Alfredo una seconda chance (mi dicono che “La condanna del sangue” sia il migliore, leggerò quello). Resto però propensa a preferire personaggi “meno personaggi” (meno occhi verde bottiglia, meno tenebrosi, meno “da film”, per intenderci) ma più umani per completezza e sfumature. Spero che tu leggerai Ricciardi nel senso di Giovanni, lo scrittore, e il suo Ponzetti, romano dei giorni nostri, e mi dirai cosa ne pensi. Io intanto tornerò a Napoli, 1931, con l’altro Ricciardi e a presto…
Ho letto il primo dei gialli della serie del Commissario Ricciardi ma non se sono stata pienamente convinta. La scrittura alterna momenti di grande intesità espressiva a sprazzi di banalità: occhi verdi, occhi azzurri, donne bellissime, sguardi rivelatori. Le figure maschili poi mi sembrano sempre meglio caratterizzate di quelle femminili, quasi sempre sul limite del macchiettistico. (Enrica che cuce alla finestra aspettando solo che il suo amore la guardi, la bellissima vedova del tenore che lancia sguardi ammaliatori)
Comunque sospendo il giudizio, sicuramente leggerò il prossimo della serie per avere un’opinione più precisa anche se, mi permetto di rispondere ad Annamaria Torroncelli, la gran parte dei romanzi gialli incentrata sulle figure di commissari presenta un evolversi degli eventi e delle situazioni ma non per questo il lettore deve leggersi tutti i libri di Mankell per farsi un’idea di Kurt Wallander, tutti i libri della Vargas per esprimere un’opinione sul commissario Adamsberg e tutti i libri di A. Gimenz Bartlett per decidere se Pedra Delicado sia o meno di suo gradimento.
Finito Giovanni Ricciardi, “Il silenzio degli occhi”. non male. Mi piace il tema della cecità, della capacità di vedere e di comprendere attraverso piccoli indizi un quadro più grande che, a poco a poco, il lettore riesce a mettere a fuoco.
Quello che mi dà un po’ fastidio sinceramente è la spalla folkloristica, il vice Iannotta, con il suo romanaccio e la sua finta ignoranza. Non so, è che le macchiette alla Catarella mi cominciano a stare sulle scatole.
Ho scoperto questa pagina per un “Lapsus”: volevo cercare in internet notizie su Maurizio De Giovanni, avendo letto tutti i libri del Commissario Ricciardi ed essendone rimasta affascinata, ma invece di digitare “De Giovanni” nel motore di ricerca, ho scritto “Ricciardi” e così ho potuto conoscere l’autore Giovanni Ricciardi e così mi sono letta tutti e tre i libri del commissario Ponzetti (tutti e tre chiaramente perchè dopo il primo mi sono appassionata a questo autore). Non è il mio mestiere recensire però ho trovato stonato e inopportuno il paragone tra De Giovanni e grandi autori come Franzen, Elizabeth Strout, Abraham Yehoshua. Non si può paragonare la musica moderna con quella classica, o un commissario Montalbano con una Anna Karenina, non regge. A parte questo, dopo la lettura di entrambi gli autori, concordo in pieno con quello che pensa Francesco Magni e mentre trovo che il commissario Ricciardi non abbia davvero più niente da dire, ma solo noiosamente da ripetere, il commissario Ponzetti, e tutta la sua famiglia in evoluzione, ha ancora cose da raccontare e spero che torni a raccontarcele.
Un saluto a tutti, Petra
Cara Petra, sono felice che tu sia “inciampata” in questra pagina e mi fa molto piacere il tuo commento (accetto anche la critica, condivisibile). È bello che un personaggio di spessore e autentico come Ottavio Ponzetti riesca a farsi largo nel cuore dei lettori. Ne approfitto per segnalare che Fazi ha raccolto le prime tre storie scritte da Giovanni Ricciardi in un unico volume intitolato “Le indagini del commissario Ponzetti”. E per darvi un’anticipazione: una quarta storia è in arrivo per novembre!
Pedra, ti aspetto ancora su Letto fra noi
Ho appena finito di leggere “Gli occhi di Borges” (Fazi editore) di Giovanni Ricciardi. L’ho trovato un libro magnifico e dire che non amo molto i gialli, ma il commissario Ottavio Ponzetti è davvero mitico, fa dei riferimenti culturali e delle annotazioni davvero incredibili, nuovi e poi la storia è piena di colpi di scena, come dev’essere in un giallo soprattutto. Il suo attendente poi, che si esprime in romanesco, è impagabile! Ora leggerò gli altri libri della serie di Ottavio Ponzetti e del suo formidabile autore, Giovanni Ricciardi (l’omonimia con un personaggio letterario gli nuoce direi, crea confusione, inoltre Ricciardi non gode di altrettanta buona stampa di De Giovanni ed è un peccato perché se lo merita appieno!)