intervista con Lucía Etxebarría:
«Il mondo è machista perciò sono femminista»

16 marzo 2011
Tempo di lettura: 5 minuti

Pamuky, cantante rock in piena ascesa, muore in una pineta per un colpo di pistola alla testa. Suicidio? Omicidio? Il cuore “giallo” dell’ultimo romanzo di Lucía Etxebarría, Il vero è un momento del falso (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia, pp. 300, € 17,00), sembra più che altro un pretesto: qualcuno indaga e 13 personaggi sono chiamati a raccontare il loro rapporto con Pamuky. Ne esce un catalogo di vite, soprattutto femminili, genere in cui la 45enne scrittrice spagnola è maestra.
Come nascono le donne dei suoi romanzi?
«Sarò sincera, non lo so. Una volta un veggente mi ha detto che sono mie reincarnazioni; sulla mia mano e ha visto molti solchi, segno che mi sarei reincarnata tante volte… Chissà! Di certo so che la storia di Iria l’ho sognata una notte e al mattino l’ho trascritta. Tutti i personaggi per me sono un po’ come un sogno, appaiono e li devo ascoltare. Poi ci lavoro su, per esempio se una è assunta in una casa editrice che pubblica libri di autoaiuto, chiamo qualcuno che fa quel mestiere».
“Il vero è un momento del falso” è una citazione del situazionista Guy Debord, riferita alla società della comunicazione e dell’immagine. Vale anche nelle relazioni?
«Speriamo di no. Però a volte viene il sospetto che sia anche così…».
Le sue protagoniste soffrono soprattutto per amore. Sono specchio della società ?
«La società occidentale dà troppa importanza all’amore e la sacralità dell’amore per le donne è una trappola mortale. Io amo mia figlia, amo il mio cane, amo mio marito e amo i miei amici. L’unica diferenza è che “me acuesto con mi marido – evidentemente no me acuesto con el perro” (vado a letto con mio marito, ovviamente non vado a letto con il cane, ndr). Ma amo molte persone, non una sola. Credo che per le donne l’idea di un amore unico e superiore agli altri  sia una trappola che rende infelici».
L’altra ragione di frustrazione per i suoi personaggi è il lavoro.
«Sì, questa società capitalista pone un accento enorme sulla competitività. Se arrivi in cima alla piramide sai che devi mangiare chi sta sotto. Questo ci mette le une contro le altre. Gran parte della vita di Olga, manager in una casa discografica, la conosco perché è stata il mio lavoro».
Femminista è una parola vecchia?
«Per niente. Il mondo è machista e io sono femminista. Tre quarti delle donne del pianeta non contano niente. In Africa ci sono le mutilazioni genitali, in India e in parte dell’Oriente puoi essere venduta, in America Latina non esiste una legge contro le violenze domestiche».
E noi occidentali?
«Abbiamo acquisito dei diritti, ma alla fine ce li vediamo togliere per l’imposizione di un canone estetico: se non sei bella, magra e con seni prosperosi (una combinazione che non esiste in natura), se non sei una superdonna con figli spettacolari, non vai bene. Siamo finite in una nuova prigione».
Qual è la chiave di questa prigione?
«L’immagine. Quando ero piccola mi insultavano chiamandomi gitana, essere scura era brutto. Poi negli anni Ottanta e Novanta è iniziata la moda delle more e allora mi chiamavano sempre in tv».
Lei descrive anche donne predatrici, carnivore, che usano gli uomini. Sono donne forti?
«Al contrario. Gli uomini chiedono che una donna sia sicura di sé ma anche molto “sessuale”. Non è possibile: o è sicura di sé o è un richiamo sessuale. La persona che va in cerca di sesso è insicura, è una persona bisognosa. La donna Telecinco – quella che balla scosciata in tv, per intenderci – è una nevrotica. La stragrande maggioranza delle ragazze che si vendono, anche quelle dei festini di Berlusconi, non lo fanno per libera scelta. Credono di essere libere, forse, ma qualcosa nella loro storia le spinge a questo».
Chi sono le donne forti, secondo lei?
«Le donne sicure di sé sono sensuali solo in privato, non hanno bisogno di sedurre tutti gli uomini che incontrano. Chi fa sfoggio di sessualità ha grossi problemi di insicurezza».
Cosa vogliono le donne oggi?
«Rispondo per me. Mia madre viveva in una società machista e in una dittatura franchista, suo padre le ha impedito di studiare e suo marito di lavorare, lei soffriva per questo. Io oggi chiedo di essere considerata e giudicata dalle mie azioni, come gli uomini, e non per il mio aspetto fisico, e voglio che ci sia un ugual numero di rappresentanti politici dei due sessi».
In Italia abbiamo cinque ministre su 25, in Spagna sette su 15, e prima del recente reimpasto erano nove.
«Però servono soprattutto per immagine: i sottosegretari di Stato, quelli che fattivamente agiscono, sono tutti uomini. E lo Stato spende più soldi per le corride che per gli asili nido».
Lei ha una figlia. Che donna vorrebbe che diventasse?
«Mia figlia ha 7 anni ed è già una donna stupenda. Cerco di farla vivere felice, di darle sicurezza, non la metto sotto pressione per l’aspetto fisico, cerco di non ossessionarla con il rendimento scolastico. La spingo a ragionare su tutto. E provo a non cadere nella trappola della madre perfetta. Ho scritto un saggio che si intitola Il club delle cattive madri, non tradotto in italiano, che parla di questo: oggi si è spinte e essere madri perfette, alle donne si chiede di essere manager ma anche madri molto attive, super efficienti. I mariti credono di aiutare solo perché preparano la cena. Nessuna può essere perfetta, ed è migliore se lo accetta».
Si considera parte della categoria delle super efficienti?
«Nel lavoro sono superattiva. Mi viene in mente Woody Allen quando dice di essere sempre “loco”, folle, assatanato, per una storia. Anch’io sono così. Finisco un libro e ne inizio un altro, se non faccio qualcosa impazzisco. In albergo mi è capitata in mano una rivista che descriveva i tratti della bulimica tipica, io non sono bulimica ma li ho tutti, personalità impulsiva, passionale, iperattiva, fagogitante».
Quindi ha già l’idea del prossimo romanzo?
«L’ho già scritto. Ma in Italia arriverà fra un po’. In genere inzio durante il mese di vacanza, scrivo dalle nove alle cinque, non mangio, infatti dimagrisco. Poi quando inizia la promozione, ingrasso. Ora sono grassa».

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