che ve ne sembra dell’America? /1
Prendo a prestito un titolo famoso di William Saroyan per raccogliere piccole impressioni di un viaggio a due tappe negli Stati Uniti (Fort Worth, Texas + New York). Saroyan raccontava San Francisco vista con gli occhi di un immigrato armeno. Sono gli occhi a fare la differenza sul mondo: dipende da dove guardi, quello che vedi. Dipende anche dalle domande che sei disposto a farti. In quante infinite pieghe si declina il vivere cosiddetto civilizzato?
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hostess
Dici hostess e pensi pin up. Così per gli italiani. Il volo Us Airways da New York JFK a Dallas-Fort Worth ne ha in servizio tre. La prima ha un taglio corto e brizzolato, due paia di occhiali appesi al collo con la catenella, ricorda la mia maestra delle elementari l’anno in cui andò in pensione. La seconda ha la corporatura di Mrs Doubtfire, stesso sorriso, una decina d’anni di più. La terza sembra uscita da un racconto di Foster Wallace: corpo levigato, gambe toniche, seno marmoreo e il viso più rugoso di una Caretta-Caretta; a vederla in fototessera le daresti 90 anni. Le tre hostess sono gentili, efficienti, agili, simpatiche. Perché non dovrebbero?
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passeggeri
Ispanici. Giamaicani rasta. Giamaicani rasta con barbe nere lunghissime. Vestiti da rapper. Cuffie per la musica enormi, bermuda larghissimi, cappelli crochet multicolor. Indiani. Cingalesi. Maghrebini. Donne altissime filiformi diafane, origine irlandese. Coppia musulmana, niqab lei, lui veste bianca barba lunga occhialini. Russi, est europei, polacchi. Padre e figlia altezza media 1.90, lei tenuta da basket, lui bermuda e mocassini. Statunitensi doc. Famiglie orientali con sovrappeso americano. Neri alti, fisico da cestista. Obesi american style età indefinibile, non vecchi. Cowboy cappello e stivali. Dandy da business class provenienza Europa. Il volo per Dallas/Fort Worth è l’arca di Noè delle razze.
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Tags: Che ve ne sembra dell'America?, New York, Stati Uniti, Texas, William Saroyan
Bella definizione “L’arca di Noè della razze”.
Le hostess. E noi che ce le immaginiamo come tutte appena uscite da un concorso di miss America! La descrizione qui sopra le riporta a livello di noi comuni mortali. Ti rassicurano. Mi piace.
delle razze e delle identità.
“New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città ma anche dentro di sé. Ogni volta che camminava sentiva di lasciarsi alle spalle se stesso, e nel consegnarsi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che vede, eludeva l’obbligo di pensare, e questo, più di qualsiasi altra cosa, gli donava una scheggia di pace, un salutare vuoto interiore. Il mondo era fuori di lui, gli stava intorno e davanti, e la velocità del suo continuo cambiamento gli rendeva impossibile soffermarsi troppo su qualunque cosa. Il movimento era intrinseco all’atto di porre un piede davanti all’altro concedendosi di seguire la deriva del proprio corpo. Vagando senza meta, tutti i luoghi diventavano uguali e non contava più dove ci si trovava. Nelle camminate più riuscite giungeva a non sentirsi in nessun luogo. E alla fine era solo questo che chiedeva alle cose: di non essere in nessun luogo. New York era il nessun luogo che si era costruito attorno, ed era sicuro di non volerlo lasciare mai più.” [Paul Auster, Trilogia di New York]
Un po’ questo ho pensato e sentito, con un brivido di smarrimento ed eccitazione, leggendo il tuo racconto e provando ad immaginare i volti e le vite dei vostri compagni di volo: e se io non fossi io??
Touché! Cara Arcanimaghi, ecco esattamente come mi sento a New York. Ecco perché scrivo poco. Posso anch’io dire di avere trovato quello che cercavo: essere in nessun luogo (e in un luogo che sembra riassumere tutti i possibili). Per un po’, almeno.
Grazie per questa citazione meravigliosa da un autore che colpevolmente non ho mai letto.
In realtà ho iniziato e abbandonato più volte Trilogia di New York, per un senso di claustrofobia. Mi è invece piaciuto (subito!) Timbuctù che, sì, ti consiglio.