Islanda day 6: i pulcinella di mare e il mostro del fiume

16 giugno 2018

Scritto da: Francesca Magni

Ogni sera dopo che ho scritto il post i miei compagni di viaggio vogliono che glielo legga. Rivivono la giornata, ridono, criticano. Filippo dice che mitizzo, Costanza che uso parole vecchie e Luigi protesta che gli faccio fare la figura dello scemo. Ma il racconto è di chi scrive e ogni viaggio – in senso lato – è il racconto che ne facciamo. Non esistono fatti ma storie, come dice Elizabeth Strout. E oggi vi dirò della cascata più grande d’Europa e della più grande inzuppata di sempre.

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LA CASCATA CHE… PIOVE

Si parte dopo una bella colazione in un caffè a vista su una stalla pulitissima in cui le mucche hanno un cartellino con il nome. Scendiamo dall’auto sotto una bufera di neve, Costanza si arrende a cacciare i capelli lunghissimi dentro il berretto e Filippo a tirare lo scaldacollo sul naso; i miei strati raggiungono quota sei (2 maglie a pelle con collo alto salvafaccia, 1 maglia termica, 1 felpa tecnica, 1 maglione in pura lana, che se le pecore qui prosperano un motivo ci sarà, e la giacca impermeabile). Ci avviamo camminando come gamberi per evitare la neve in faccia e imbocchiamo il sentiero fra blocchi di basalto nero. “Oh raga, nevica” ripetono i ragazzi increduli finché a un tratto la neve sparisce, in cielo c’è una finestra azzurra e il sole stampa un arcobaleno sulla cascata di Dettifoss. No, anche questa volta niente montagna, le cascate qui precipitano dentro a canyon che si aprono sotto campi di lava. Ci avviciniamo alla massa d’acqua inseguendo l’arcobaleno in uno stato di inconsapevolezza degli elementi: non è pioggia quella che ha cambiato colore alle nostre giacche ma acqua della cascata in formato spray che risale dal canyon e si proietta per oltre un centinaio di metri e poi di nuovo su di noi miniaturizzata e capace di inzupparci fino al midollo. Non siamo mai stati a Yguazu né a quelle del Niagara, perciò Dettifoss è per noi la più bella cascata mai vista. La neve riprende a scendere e in macchina, con l’aria calda modello asciugatrice, ripartiamo per il deserto di lava diretti a Est, destinazione Egilstadir, attraversiamo in rapida successione neve, nevischio, palline di ghiaccio che rimbalzano sulla strada, pioggia finissima e vento secco.
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IL PRANZO ISLANDESE E IL MAR DI NORVEGIA

Il pranzo oggi è islandese tipico, una fetta di pane nero cotto sottoterra (mettono l’impasto la mattina nei cartoni del latte e la sera sfornano dei pani a parallelepipedo) con burro e trota affumicata. Pura bontà nordica. Per la verità da quando siamo qui abbiamo sempre mangiato bene, per lo più zuppe calde di pesce. Passata la fame, passata la neve, si punta a nord est verso il mare: seguiamo il consiglio degli italiani incontrati al ristorante, vedere i pulcinella di mare a Bakkagerdi. Attraversato un deserto di muschio circondato da corone di montagne nere e bianche, lambito l’ampio estuario di un fiume che si getta nel mare di Norvegia o di Groenlandia (che qui si mescolano) e che a differenza del mare del Nord è di un azzurro bellissimo, si scavalca una cresta di bassa montagna da cui qua e là spuntano cascate e con una strada nerissima che taglia la montagna franosa si raggiunge un borgo di contadini e pescatori dove le onde spruzzano la strada, e coperte di muschio si stendono fin sulla spiaggia.
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I PULCINELLA DI MARE E IL CONDOMINIO DEI GABBIANI

I pochi turisti che si spingono fin qui portano cavalletti e obiettivi grandi come cannoni, ma i pulcinella di mare ti camminano vicino e puoi catturarli anche con l’iphone. Sono dei pinguinetti alti due palmi, con il becco e le zampe arancioni, e un disegno attorno agli occhi che davvero ricorda la maschera napoletana e li dota di un fascino vagamente malinconico. Su uno scoglio coperto di terra e verde, dalle numerose buche spuntano i pulcinella, si guardano attorno poi spiccano il volo come tuffatori poco esperti da un trampolino, riuniscono le zampe palmate di un rosso arancio vivissimo e le sollevano come il carrello di un aereo prima di planare sul mare in cerca dell’unico tipo di pesce di cui si nutrono. Il loro volo non è elegante come quello dei gabbiani ma è rapido ed efficace e in breve li vedi tornare col pesce in bocca e infilarsi nella buca sullo scoglio erboso.Lo scoglio accanto è più aspro, non ci cresce l’erba e la roccia forma dei gradoni che ospitano un condominio di gabbiani. In ogni ripiano un nido e sopra un gabbiano che cova, una coppia che sta ancora mettendo su casa (lui porta alghe, lei le sistema zampettandoci sopra), qualche mamma ha già i pulcini, due, grigi e sofficissimi che vediamo per la prima volta. Come, per la prima volta, noto che i gabbiani da fermi sono uccelli piccoli e che le loro ali si ripongono come ombrelli pieghevoli facendosi proporzionate al corpo, mentre stese in volo li rendono maestosi ed energici. Il condominio dei gabbiani mi mostra questi abitanti delle coste in una luce nuova, mansueti e familiari nel privato e poi arditi e prepotenti nel volo sui porti, e ricorda che in tutte le cose, anche quelle che si crede di conoscere, è possibile osservare meglio.
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LA CASA “A FORMAGGINO”

E poi la giornata finisce in gloria. Perché al momento di individuare il cottage prenotato per la notte ci accorgiamo che è una delle quattro casette in legno triangolari, a forma di formaggino, con il tetto azzurro posate sul prato davanti all’ansa del fiume Lagarfljót. In legno con camera sotto gli spioventi del tetto e terrazza sul fiume; domani faremo colazione qui, come fosse casa nostra. In viaggio è bello che capitino luoghi e momenti da abitare (per la cronoca, il posto si chiama Skipalaekur Cottage, a Egilsstadir, e costa come l’armadio delle scope di ieri). Ma finisce in gloria anche per la cena nella vicina Seydisfjördur, borgo di origine norvegese all’imboccatura di un fiordo che raggiungiamo scavalcando una montagna coperta di neve: all’improvviso il deserto di muschio diventa deserto di neve e il termometro precipita sotto zero. Sembra di essere al Piccolo San Bernardo in febbraio. Ma scollinata la cima il paesaggio torna verde e punteggiato di cavalli islandesi dalla chioma foltissima, sempre immobili come in fotografia. È il primo villaggio con case colorate davvero carine, e per l’euforia ci concediamo una cena con piatto di pesce anziché la solita zuppa. Alla fine costa 14.000 e l’unica cosa che conforta sapere è… che non sono euro.
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P.S. Prima di andare a dormire leggiamo che nel fiume davanti a noi vivrebbe un mostro che appare con gigantesche spire a forma di arco. Il primo avvistamento risale al 1345 e nel corso dei secoli il mostro si sarebbe mostrato con regolarità fino a una mattina di febbraio del 2012 quando un contadino che beveva il caffè lo vide emergere dall’acqua. Corse a prendere la macchina fotografica e fece un filmato che si può vedere su YouTube cercando Iceland Lake Monster. Da allora è stata istituita una “commissione verità” ed è richiesto a chiunque riesca a scattare foto del mostro di inviarle a monster@egilsstadir.is

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