Olanda in bicicletta, giorno 4:
il profumo del mare del Nord

23 agosto 2013

Anche stasera dormiremo nella casetta di legno (trekkershutten) nel campeggio di ieri. Ce ne danno una pied dans l’eau: con la porta aperta vedi due metri di prato e il mare. I miei bambini pescano granchi con un secchio, i ragazzi del campeggio escono in vela anche di sera.
Ci alziamo presto, molto prima dei baristi, e facciamo colazione dal fornaio che ha dolci buonissimi e sconosciuti (ottimi i veri wafel!). Poi partiamo verso la grande diga, inaugurata nel 1987 dopo 9 anni di lavori. In questo punto il mare ha sempre assalito la terra. La prima barriera è stata costruita nell’XI secolo e molte ne sono seguite finché, dopo l’uragano del 1953 in cui morirono più 1800 persone, gli olandesi, pur tra mille discussioni, hanno iniziato a concepire il Progetto Delta: paratie profonde 45 metri e tre bracci di mare chiusi. Si calcola che le probabilità di un uragano tanto forte da poterle superare siano una ogni 4.000 anni. Certo, viene da chiedersi perché questa gente abbia lottato per dieci secoli contro le aggressioni del mare anziché spostarsi qualche decina di miglia più all’interno.
La diga è percorsa da due strade, una a due corsie per le auto e una di identica larghezza solo per le biciclette. Attorno, mare e vegetazione bassa; sullo sfondo distese di pale eoliche. È un deserto futurista. Il parco Delta Expo Haven si trova sull’isola artificiale di Neeltje Jans, ha diverse attrazioni ma piuttosto singolari: il decantato simulatore di uragani è una stanzetta con un grosso phon che ti soffia in faccia a 130 km/h; qualche immagine di onde sullo sfondo l’avrebbe reso un filo più emozionante. Un edificio che ricorda una balena fa esplorare lo stomaco del cetaceo e contiene qualche installazione curiosa, come un emporio con tutti i prodotti a base di balena, dai corsetti con le famose stecche alle caramelle gommose un tempo ottenute con la cartilagine; a intervalli regolari la pancia dell’edificio-animale imbarca acqua per simulare il gesto con cui la balena per cinque mesi all’anno raccoglie krill e pesciolini con cui nutrirsi. Al piano superiore è esposto lo scheletro di un capodoglio spiaggiato da queste parti nel 1998.
Poco distante un angolo per i bambini offre giochi d’acqua come dighe, minipompe e la una coclea di Archimede. Vasche con foche, il museo della diga, un acquarietto misero, una mostra sulle cozze: tutto è estremamente sobrio, e un po’ deludente. Specie perché in 4 con sconto famiglia abbiamo pagato 76 euro.
Ripercorriamo la diga in senso inverso lasciandoci alle spalle gli enormi mulinelli e il salto di mare da vertigine. Stamattina l’acqua defluiva dal mare interno a quello aperto, il pomeriggio al contrario. La marea è cambiata. Anche i muscoli delle gambe sembrano aver invertito la rotta. Dopo la lotta faticosa dei primi due giorni, improvvisamente prendono il largo. Hanno voglia di correre. Cerco la marcia più alta (questa pessima bici ne ha tre e quella più alta lo è decisamente troppo, ma stasera riesco a dominarla) e raggiungiamo la duna. Siamo nei pressi di Domburg, località turistica rinomata. In spiaggia vanno tutti in bicicletta o trainando a mano piccoli carretti con sopra due o tre bambini. Non ci sono parcheggi se non lontani e le auto sono rade. Lasciamo le bici aperte come vediamo fare agli altri, posiamo anche i caschi (che in Austria erano obbligatori e qui indossiamo solo noi) e scavalchiamo una duna gigantesca scollinando sul mare del Nord. Adriatico a gennaio. Stessa sabbia, stesso colore. Gelido. Solo i bambini sguazzano, qualche adulto bagna le gambe, nessuno nuota, a eccezione di marito e figli. È piú salato del nostro mare, dicono. E l’odore è diverso. Lo cerco senza trovarlo. Non è quello di granchi del Ligure, quello aromatizzato di finocchietto o di mirto del Tirreno, né l’odore di alga e terra dell’Adriatico. Ha un profumo diverso, il Mare del Nord. Lo sento tornando alla casetta in campeggio. Sa di conchiglie e erba tagliata.

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