il momento giusto
Capita che due giorni dopo aver traslocato in una casa piena di scale, torni da una cena con i colleghi. Quel pomeriggio avete salutato i direttori: dopo diciassette anni. Rientri tardi, ma non ti va di dormire, c’è l’adrenalina, il caos intorno. Prendi due scatoloni e scendi una rampa senza accendere la luce per non svegliare i bambini. Capita che inciampi, non sai come, e in quel lampo di consapevolezza in cui non senti ancora il dolore ma già lo sai, ecco che pensi: non è il momento. Lo ripeti due ore dopo al pronto soccorso quando vogliono ingessarti. Non è il momento, c’è il trasloco, e domani arriva il nuovo direttore! Le amiche ti accompagnano in redazione, tutti sorridono delle stampelle, chi le ha provate ti dice: lo so, sono una tortura. Ma tu tiri dritto, e alla velocità massima. La sera a casa i bambini ti prendono in giro perché saltelli come Tigro. Fermarti, neanche a pensarci. Sulle scale ci vai sedere a terra, provi persino a rovistare negli scatoloni, ritrovare il blocco per gli appunti o il tritatutto è scommessa ancora aperta. Capita che in breve il piede fasciato sia la parte del corpo che ti fa meno male, tanto è indolenzito il resto. E una mattina, mentre infili le calze emettendo i versi che fa la Pennetta quando tira di rovescio, inizi a capire. Si è aperta una crepa. Nella caviglia. Nella vita che conoscevi. È come un guscio d’uovo che scricchiola. Non puoi forzare e non puoi aggiustarlo. Devi arrenderti alla realtà. Allora ti fermi, la gamba appoggiata alla stampella, che ora è un po’ amica, i muscoli che giorno dopo giorno smettono di farti male. Anche le scale ora le fai con tecnica mista, a saltelli, a quattro zampe, in scivolata. Il corspo è stupefacente per l’entusiasmo con cui si adatta alle costrizioni e ai cambiamenti, sembra una pianta a cui togli il sole che subito si gira altrove per ritrovarlo. La mente subito lo segue: ora che il gesso si è portato via i ritmi assuefatti, i gesti frenetici e non più pensati, lei osserva di sbieco, trova nuove prospettive e vede meglio. Capita, allora, che dal guscio incrinato della tua–vita–come–la conoscevi inizi a scorgere qualcosa che nasce. La casa diversa, un modo di lavorare diverso, un orizzonte in ombra ma da cui puoi, come la pianta, ripartire in cerca del sole. Vai alla visita di controllo e il medico dice: «Altri quindici giorni. Riesce a stare a casa?». «No» rispondi. «Insomma, non era il momento…» dice lui comprensivo mentre ti fascia la caviglia. Invece sbaglia. Era proprio il momento giusto.
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Scritto da: Francesca Magni
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Cara Francesca,
ho incontrato Luigi che mi ha raccontato del trasloco e del piede. Mi mancava solo il nuovo direttore.
Infelice di non incontrarti più per strada, sono felice di rileggerti.
Ciao e auguri,
Lisa
PS Anch’io ho un piede che mi fa male, se ti consola.
Cara Lisa,
va già meglio, per fortuna! Ed è servito, in fondo… Anche a me dispiace non incontrarti più. Potremmo prenderci un caffè, una mattina. E appena la nostra casa sarà finita vorrei organizzare riffe libri…. Perciò ti aspetto!