che ve ne sembra dell’America? /3

8 aprile 2012

Forth Worth

Fort Worth è una distesa piatta formata da grosse aree giustapposte. Una città di bellezza per noi aliena, ma di bellezza indiscutibile. Downtown ha grattacieli antichi di mattoni che si specchiano in torri di vetro. Il Cultural District concentra musei di alto livello. C’è un Caravaggio al Kimbell Museum di Fort Worth!, e un curioso quadro dipinto da Michelangelo dodicenne con un Sant’Antonio tentato dai demoni. Un enorme giardino botanico in costante espansione: in giro si vedono ruspe+alberi e non ruspe+cemento.

I quartieri residenziali: palazzine di tre piani massimo, case indipendenti di legno modello coloniale declinate in tutte le versioni della ricchezza. A Park Hill le più belle, fantasie di sapore vittoriano sotto alberi che qui prosperano per il clima umido e caldo e di una varietà che non sappiamo riconoscere. Una villa a sei stanze in questo quartiere di lusso costa quanto un quadrilocale in condominio a Milano. Si respira aria da telefilm, Wisteria Lane, Desperate housewives, ma i marciapiedi sono disabitati. Nessuno cammina, per questa città. La guida sconsiglia di raggiungere i musei a piedi: manca un sidewalk. Scendere sul marciapiede deserto intimorisce. Fotografo le ville dal finestrino dell’auto, che sembra l’habitat naturale di molti americani.

A ogni incrocio di strada un cartello urla “criminal watch” e invita a segnalare i sospetti. La proprietà privata è sacra più della vita, I guess. La legge del Texas permette di tenere un’arma senza una licenza a patto che la si porti alla cintura bene in vista, fucili e pistole si comprano nei megastore che vendono canne da pesca, tende da campeggio e scarpe da trekking. Se nel tuo giardino spari a qualcuno che ti minaccia (o da cui ti senti minacciato), non ti possono punire. In California puoi sparare a un intruso solo dentro casa, se non vuoi essere perseguito: in giardino è reato. Sono meno liberali con l’autodifesa, in California.

Rodeo

Il venerdì pomeriggio le strade che portano a Fort Worth sono piene di auto con rimorchio, trasporto cavalli. Alle otto i vecchi Stockyards dove un tempo si teneva la fiera del bestiame si animano di gente vestita pochissimo a prescindere dal clima e dotata di cappello da cowboy e stivali, qualcuno con gli speroni. Al rodeo si va come al cinema, Coca Cola e popcorn. Nell’arena piena di terra lo spettacolo si apre con una cvallerizza bionda portabandiera, inno e God bless the United States, applauso e via ai rodei. Il toro, stretti i testicoli da una corda, scalcia per liberarsi. L’ardito cowboy deve stare in sella 8 secondi e soprattutto, quando cade, evitare di essere calpestato. Intanto si preparano i cowboy col lazo e per due ore si esibiscono in abili lanci: prendere il toro per le corna, catturare i vitelli con un lazo attorno al collo e poi gettarsi da cavallo per legargli le zampe, fare lanci in coppia: un cowboy prende le corna e l’altro le zampe. Lo spettacolo non è crudele, la destrezza è indubbia, la gara evidente. Immagini il lavoro quotidiano dei mandriani, quei lanci abili con la corda indispensabili per riportare al branco una bestia recalcitrante. Il rodeo non è una corrida, è una festa. Una “festa del lavoro”. Quando è finito, i bambini scendono nell’arena, viene liberato un montone e tutti dietro con le mani aperte a cercare di acchiapparlo.

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