se la maternità diventa follia
(Marco Franzoso Il bambino indaco)
Marco Franzoso Il bambino indaco (Einaudi, 2012, € 16,00, pp. 132). La cosa che colpisce fin dalle prime righe è la scrittura scarna, quasi una cronaca. Via via che ci si immerge nel racconto, si capisce che è proprio questo: cronaca di una maternità volta in follia. Una storia che si potrebbe trovare sui giornali. Una coppia aspetta un figlio; appena resta incinta, lei precipita in un’ossessione: vuole che sia tutto perfetto. Si ciba in modo ascetico, segue terapie alternative, persegue una purezza esasperata, controlla ogni dettaglio. Il figlio nasce, una curatrice ha preannunciato che sarà un “bambino indaco”, creatura dalla sensibilità speciale mandata a migliorare il mondo. La madre continua nel delirio di purificazione: lo nutre solo di verdure, lo affama, il bimbo rischia la vita, il padre e la nonna sono spettatori impotenti di un dramma che non si può fermare, se non con un gesto estremo. Si arriva alla fine del romanzo senza trovare, fra le righe, alcun giudizio e senza riuscire a esprimerne. Si sospetta che la storia sia effettivamente vera, scatta il riflesso condizionato del “sospetto autobiografismo”, ma si preferisce non indagare, non chiedersi. Perché questo romanzo tocca un lato profondo di noi, quella sottile linea che divide l’amore dalla follia, confine che tutti custodiamo silente e al quale non ci affacciamo se non a timorosa distanza quando libri come questo ce lo impongono. Il bambino indaco si legge fremendo di ansia, perché parla di come l’amore a volte imbocchi strade malate e l’orrore si radichi propro nel luogo della tenerezza: la maternità.
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Scritto da: Francesca Magni
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Tags: Einaudi, follia, Il bambino indaco, Marco Franzoso, maternità
Una volta ho conosciuto una mamma che mi diceva convinta di avere un bambino “indaco”. Sono scappata. Non riuscirei a non nausearmi leggendo questo libro perché davvero, il TROPPO amore genera mostri.
Ah, se dovessi indicare dei colori per i miei figli direi arancio e rosso :))
Di bambini indaco non avevo mai sentito parlare, e anche ora che ho letto questo romanzo non ne so molto. Qualcuno mi può raccontare meglio?
Molti anni fa con mia grande sorpresa, una conoscente laureata, che esercita una professione nobile e prestigiosa mi ha comunicato che sua figlia, all’epoca cinquenne, apparteneva alla specie indaco. La signora, nel cercare di convicermi sulla teoria sui bambini indaco, usava gli stessi toni delle tante persone invasate per l’astrologia, oppure lo spiritismo, o il gioco d’azzardo. Credo si tratti di maniaci ossessivi, che però nessuno si sogna di curare, perchè questo tipo di manie vengono considerate talvolta come caratteristiche simpatiche anzichè vere e proprie devianze.7
Grazie per questa testimonianza, Mariagrazia!
In generale, non temo le teorie in sé, né l’astrologia, le terapie alternative e tutto ciò che non frequento.Temo l’estremismo, quale sia la forma che prende. Quell’essere invasati che descrivi a proposito della tua conoscente con la figlia indaco… Purtroppo nessuno può curare chi non si crede bisognoso di cure.
Il romanzo di Franzoso è un concentrato di pressappochismo condito da una dose massiccia d’imprecisioni.
Della scrittura scarna di cui si accennava sopra, rammento la mancanza d’identità. Questo libro potrebbe essere stato scritto da chiunque.
E’ un po’ il difetto degli autori italiani contemporanei. Soprattutto dei giornalisti, che hanno fatto della narrativa “cosa cronistica”.
Della vicenda in questione ricordo invece la scarsa costruzione dell’intreccio, basata su un inverosimile rapporto familiare malato dove un padre assiste impotente e in modo eccessivamente passivo, al deperimento del proprio bambino.
In pratica l’autore presenta una madre con problemi mentali che continua a dimagrire e a far dimagrire il neonato e un padre che non riesce a dimostrare ai servizi sociali che il piccolo è in pericolo di vita. Il bambino è sotto peso, ha seri disturbi evolutivi, anemico, non comunica con l’ambiente e con gli altri, dorme spesso e, ripeto, rischia di morire e l’assistente sociale dice al protagonista (il padre) che dato che la madre non lo lascia venire agli appuntamenti, dalle fotografie mostrate non si evince un effettivo deperimento del piccolo.
Di contro a un certo punto l’uomo riesce a convincere la moglie a incontrare l’assistente sociale e quest’ultima pesandola dichiara che in fondo 40 chili sono giusti per una donna in fase d’allattamento.
Ma la chicca è che la mamma del bambino ingurgita un chilo di mascarpone prima della visita (per cui passa da 39 a 40 chili) e lo rivomita non appena ritorna a casa.
E dulcis in fundo… un finale da far rabbrividire! Nel senso peggiore del concetto.
Ora io mi chiedo: è lecito far scadere la narrativa italiana in una farsa?
Esempio di errori grammaticali e frasi dubbie:
“Un paio di uomini in borghese parlano al telefonino”.
“Uno dei suoi cd andava allo stereo”.
Anche questo testo, in mezzo ai pessimi, rischia di convincere.