Un giorno: dal libro di David Nicholls
il film con Anne Hathaway

10 novembre 2011

Ho letto e apprezzo il libro di David Nicholls, Un giorno (Neri Pozza, 2010, € 18,00) e, contrariamente al mio abituale scetticismo verso le riduzioni cinematografiche, ho scelto di vedere il film (nelle sale dall’11 novembre), che ho trovato all’altezza. Il bello di questo libro – un romanzo d’amore – è che pur raccontando una storia puramente sentimentale non scade mai nel sentimentalismo, forse anche grazie al personaggio di Emma, una ragazza arguta e piena di ironia, un genere di donna che trovo sempre interessante. La storia, al pari dei personaggi, non ha leziosità né esiti prevedibili. Tutt’altro. Nicholls utilizza una complicata relazione d’amore per raccontare una generazione, quella degli anni Ottanta, della quale per età ho in parte condiviso i sogni e le sorti. La prima generazione dei figli dei figli della guerra, quella del babyboom, quella che non doveva più ricostruire il mondo (lo avevano già fatto i genitori) e poteva permettersi di “usarlo”: per realizzare i sogni, per avere successo. Emma e Dexter hanno modalità antitetiche e paradigmatiche, lo stesso si può dire per gli esiti: il perdersi di Dexter e il trovarsi di lei raccontano due parabole tipiche dell’epoca; cosa che vale anche per Ian, fidanzato di Emma e comprimario nella storia, che, sul finale, rivela un’ulteriore tipico esito delle vite e delle scelte di quella generazione. Così il libro, come  il film che gli è fedelissimo (e anche lui, secondo me, riesce a evitare sentimentalismi), offre in sovrappiù qualche spunto per riflettere su una generazione che può essere stata la vostra o quella dei vostri figli. E a chi come me – e come Dexter – ha dei bambini oggi, accende un pensiero: come sarà la loro, di generazione, nell’oscillare del pendolo ricorsivo eppure sempre nuovo della storia?

Riposto qui la recensione del romanzo che scrissi lo scorso anno. Con un’avvertenza: c’è una riflessione che mi sta molto a cuore a proposito del finale, che inevitabilmente lo svela. Poiché il finale qui conta parecchio, fermatevi prima, se non avete ancora letto il libro o visto il film.

David Nicholls, Un giorno (Neri Pozza, 2010, € 18,00). Emma è seria, piena di ideali, impegnata politicamente, porta occhiali da secchiona che coprono un po’ la bellezza di cui non è consapevole; Dexter è figlio di buona famiglia,  incline al disimpegno, alle sbronze e all’ossessione di trovarsi un posto al sole. Dexter e Emma passano insieme la notte della loro laurea. È il 15 luglio 1988, si piacciono da pazzi, ma lei è impacciata, lui non vuole mostrarsi troppo coinvolto e la storia prende una piega strana. Dex e Em si negano l’uno all’altra e a se stessi per 392 pagine, divise in capitoli che hanno per titolo sempre quella data, 15 luglio. Dexter gira il mondo, giocherella a fare il fotografo, capita a lavorare in tv, ha successo come presentatore di un programma demenziale; nel frattempo ha  decine di storie, tradisce, flirta e si sbronza. Emma vuole vivere a Londra, inizia un romanzo dopo l’altro, scrive pièce teatrali per le scuole, divide casa con un’amica e lavora in un ristorante messicano. Nel frattempo vive da single con discreta rassegnazione finché accetta l’amore di Ian, che non ricambia. Dexter e Emma si vedono spesso (da amici) e si pensano costantemente, mentre percorrono strade parallele: Emma lascia Ian e inizia ad avere risultati come scrittrice per ragazzi, Dexter perde la madre e si avvita in una spirale di sbronze e donne, finisce per diventare “il presentatore più antipatico della tv”, precipita, crede di risollevarsi sposando una ragazza glaciale da cui ha, senza progettarlo, una figlia. Quando il matrimonio va a rotoli e Dexter rallenta la corsa, affiora l’unico vero desiderio. Emma. Finalmente è il loro momento, si sposano. Sono felici.
Fin qui il romanzo fila liscio e leggero, fa un po’ rabbia quel desiderarsi mai soddisfatto, ma i dialoghi sono arguti, ironia intelligente, Dex e Em “disegnati” benissimo, e attorno una corona di personaggi ben tracciati. Fin qui è il brioso ritratto di una generazione, quella nata tra la metà degli anni Sessanta e i primi Settanta, con i temi del caso. Il “tutto è possibile” che si tramuta in terrore di non riuscire in niente; il bisogno di avere successo per credere a se stessi; la voglia di farcela da soli e le stampelle (soprattutto alcol e sesso) per puntellare la paura. E poi temi più universali come l’incapacità di mettersi in gioco dando corso a un sentimento. Paura di vivere? Paura di consumare ciò che si prova?
Fermatevi qui, se non volete che vi rovini il piacere di leggere questo romanzo svelandovi il finale. Ma una cosa sul finale la devo dire. Perché quando a pagina 430, il pomeriggio di un 15 luglio dopo che Emma e Dexter si sono riappacificati dalla litigata mattutina – un battibecco per la politica, ma sotto c’è che lei ha scoperto di non essere incinta, ed è un anno e mezzo che ci provano – quel pomeriggio, mentre Dexter è al Belville, l’enoteca che ha messo in piedi con soddisfazione, ed Emma prende la bici per andare a nuotare, quel giorno piove. Lei scivola, cade e muore, e in quel momento, a pagina 430, ti chiedi che senso ha. Snobistica allergia al lieto fine? Troppo poco. Ti chiedi (e non riguarda solo Dex e Em) se il clic della morte come un’istantanea che ferma il tempo nel suo punto migliore non sia una inesorabile legge dei rapporti d’amore. Non è sempre la morte, è chiaro. Ma quel clic arriva per tutte le coppie, e nessuno se ne accorge se non “leggendo” i capitoli successivi. Infatti il romanzo non finisce qui. Seguono altre 57 pagine in cui Dexter si dispera, rivive il ricordo del primo incontro con Emma e i molti anni in cui erano stati amici, si immerge nella nostalgia, si macera nel rimpianto, e alla fine, come tutti, continua a vivere.

Scritto da: Francesca Magni

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