ho allargato le braccia e ho iniziato a volare

26 ottobre 2011

Esco esausta da una giornata ordinaria, la lista delle cose da fare spuntata solo a metà, il lavoro che ha preso la forma beffarda della legge di Murphy, o non ce l’hai o ne hai in eccesso. I sogni, sempre troppo in fondo alla lista perché si arrivi a occuparsene. Parcheggio sotto casa, non mi sono accorta d’aver guidato, la testa a bagno nel brodo raffreddato che è la stanchezza. Giro la chiave nella porta e la vita mi scuote, i bambini mi tirano i gomiti mentre lavo le mani, posso fare un’ora in più di ginnastica? posso invitare Elias a dormire?, lancio le scarpe in un angolo, apro il frigo, imbastisco una pasta al sugo e ripongo per sbaglio la cipolla con l’oliera. Sorrido. 
Fra due ore saranno a letto. Se resisto me ne restano altre due per fare qualcosa che desidero da tempo e per cui non ho mai tempo. Porto a termine la battaglia più importante della giornata, sono a pezzi ma ai bambini mi do tutta intera e concentrata come il dado. Chiacchieriamo, leggiamo, suoniamo un po’, qualche storiella di cui ridere e poi c’è da alzare la voce perché non hanno ancora il pigiama, le due ore stanno per scadere, le loro e le mie. Sogni d’oro. Spengo la luce, inciampo nelle cartelle, ho dimenticato di controllare i diari. In quella di Filippo c’è il quaderno dei testi: ogni settimana il suo meraviglioso maestro scatena la fantasia della classe con titoli come questo: “A un certo punto ho allargato le braccia immaginando di volare…”. Mi accovaccio vicino alla cartella e mi inerpico lungo la calligrafia di mio figlio di 9 anni.

Mi sentivo il corpo più leggero, mi sono guardato le braccia che erano piumate, mi sentivo la bocca allungarsi e curvarsi in basso, ai piedi diventati ormai zampe mi si allungarono gli artigli acuminati come coltelli e il becco ricurvo sembrava uno dei pugnali che hanno i fantini nella fodera di cuoio. Incominciai a volare, il becco fendeva l’aria come un coltello nel burro, il posteriore era ricoperto di lunghe penne che mi facevano da timone, mentre le zampe erano come i carrelli di un aereo; infatti poi ho dovuto tirarle su. Volavo veloce verso nord, le correnti d’aria erano come un venticello fresco per me. Dopo qualche sbattuta d’ali mi sono portato sotto le nuvole ed ecco la mia casa, poi ancora più in là la scuola, la casa dei miei zii, la casa dei miei nonni e il Lambro. Giunto al bordo del fiume, un odoraccio: mi sono detto: «Ecco, una cosa che vorrei è che il Lambro non fosse inquinato e che al suo interno vivessero pesci, insetti, larve di vari animali, rane, rospi, girini e salamandre acquatiche». Dopo queste parole mi è venuta un’idea. Ho incominciato a volare e pensavo: «Se vado a sinistra posso raggiungere le fabbriche che scaricano i loro rifiuti tossici nel Lambro». Mi diressi a sinistra dove un fumo grigio inscuriva l’ambiente. Ho toccato terra ed è successa una cosa molto strana: sono ritornato me stesso; ho riprovato a volare e mi sono trasformato di nuovo in aquila. Ho capito che se allargavo le braccia mi trasformavo in aquila, se dovevo camminare ridiventavo me stesso. Così sono entrato nella fabbrica e ho detto al proprietario: «Lei sta inquinando il mondo, deve smettere!». Lui mi rispose: «Senti tu, cosa mi potresti fare? Sei un bambino e non hai neanche il fisico da lottatore». «Be’» gli ho risposto «ma guarda cosa so fare» e mi trasformai in aquila. Il direttore per poco non svenne dalla paura: «Ok non inquineremo più». «Ok» gli ho risposto. Ho ripreso il volo ma 
ero stanco, perciò mi sono rifugiato sotto il tetto di un albergo e mi sono addormentato.

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Mi scappa un sorriso. E se questa non fosse solo la favola di un bimbo di quarta? Se davvero bastasse un gesto, per diventare un’aquila? Penso alla cosa che sogno da tempo e non ho mai tempo di fare. Chiudo le cartelle e punto la sveglia alle sei. Costerà fatica, ma se non mi decido ad allargare le braccia resto a terra. Domani avrò un’ora per me a mente fresca. Magari anch’io come Filippo, riesco a volare. Magari anche voi.

Scritto da: Francesca Magni
[Pubblicato su Donna Moderna n. 44, 2011]

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