Delphine de Vigan Le ore sotterranee

24 agosto 2011

Scritto da: Susy

Caldo soffocante, un’afa insopportabile, mi  rifugio in taverna dove fa più fresco. Armata di pazienza mi dedico ad un lavoro che mi riprometto da mesi di fare: sistemare la libreria.
Mettere in ordine i libri riposti sugli scaffali alla rinfusa (sono maniaca, li ordino per casa editrice, per autore, se proprio voglio essere pignola pure per dimensioni e colori delle copertine), e togliere la polvere accumulata nel periodo delle vacanze. Scorro i titoli, gli autori, ricordo le storie, fino a che mi imbatto in Le ore sotterranee scritto da Delphine de Vigan (Mondadori , pagg. 218,  € 19,00). Com’è che questo libro non lo ricordo? Eppure l’ho letto non molto tempo fa ma  non ricordo la storia e non ricordo gli interpreti. Decido di rileggerlo. Impiego forse due serate a finirlo e già dalle prime righe ecco che ricordo tutto, ricordo tutta la storia eppure non mi riesce di richiudere il libro e rimetterlo al suo posto nella libreria.
Dephine de Vigan scrive con un ritmo serrato, mi coinvolge, riesce a  trasmettere tutta l’ansia, l’affanno, persino lo stress per i rumori, per il caos, il traffico, i rumori di Parigi  dove la storia è ambientata. Mathilde e Thibault, due storie parallele. Mathilde è una mamma single, rimasta vedova con 3 figli ed un lavoro carico di successi e soddisfazioni personali conquistate sul campo, lavorando duramente fino a che un giorno, inspiegabilmente, tutto le si rivolta contro. Mathilde inizia a subire una serie di piccoli, ingiustificati e continui soprusi.
Piccole cose,  via via più pesanti che la lasciano inerme, sbigottita. Subisce silenziosamente, non ci crede, pensa di essersi sbagliata, di avere frainteso. E quando realizza, è troppo tardi. L’inesorabile meccanismo si è innescato e sebbene provi a ribellarsi, questo perfido e sottile meccanismo la consuma, la annienta gradualmente, progressivamente, giorno dopo giorno. La logora.
Mathilde è stanca, priva di energia, tutto quello che vorrebbe è sparire, lasciarsi andare, riposare, riprendere le forze, riprendersi la vita di prima, prima che tutto avesse inizio. Non lo fa, sopporta, tiene duro, lotta, raccoglie da ogni fibra del suo corpo quella forza che non ha più.  Lo fa per i suoi tre figli, lo fa perché non può fare altrimenti.
Anche Thibault vorrebbe lasciarsi andare. “Ama una donna che non lo ama. C’è forse qualcosa di più feroce di questa constatazione? Di questa impotenza? C’è forse una sofferenza, una malattia peggiore di questa? No, sa benissimo che non c’è. E’ ridicolo. E’ falso. La sconfitta in amore non è niente di più e niente di meno di un calcolo incastrato nei reni. Delle dimensioni di un granello di sabbia, di un pisello, di una biglia o di una palla da golf, una cristallizzazione di sostanze chimiche capaci di provocare un dolore lancinante, a volte insopportabile. Che finisce sempre per spegnersi.”
Thibault fa il medico d’urgenza e per raggiungere i suoi pazienti, percorre in macchina tutto il giorno la trafficata e caotica Parigi. Le malattie che si trova a curare sono la solitudine, l’abbandono, i suoi pazienti sono  anziani dimenticati in appartamenti che puzzano di stantio, che può curare solo con un po’ di attenzioni e qualche parola di conforto.
Il romanzo è scritto in un modo davvero coinvolgente,  non ci sono molti dialoghi ma descrizioni minuziose dei percorsi che ogni giorno Mathilde deve fare in metropolitana per raggiungere l’ufficio (da qui il titolo  “Le ore sotterranee”) così pure del traffico che ogni giorno attende Thibault .  L’autrice riesce veramente a trasmettere l’ansia, il senso di affanno, la velocità, i rumori, l’oppressione della folla, sciami di persone che si riversano veloci tra i dedali della metropolitana. E nello stesso tempo ci sprofonda  nei percorsi sotterranei dell’animo di Mathile e Thibault, con un finale che non mi sarei aspettata.

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