Buongiorno, sì grazie!
Scritto da: Adele
Nelle strade acciottolate del mio piccolo paese di montagna salutare chi incontravi per strada era un atto dovuto. Mia mamma mi raccomandava sin da piccola di non dimenticarmi di salutare e di salutare per prima, come segno di rispetto. Non stiamo parlando di secoli fa, solo della fine degli anni ’70. Ed io, ora montanara di città, continuo con questa mia abitudine veramente contadina.
Nella metropoli milanese nella quale abito continuo a salutare chiunque incontri sui pianerottoli, i miei vicini di casa, i miei dirimpettai, il barista dell’angolo ed il tappezziere, il portinaio filippino che ha la figlia alla stessa scuola materna di mio figlio, l’anziana signora dello stabile accanto al mio.
Così facendo mi pare di rendere più vivibile il mio quartiere, di ridurlo a dimensioni umane.
Per questo motivo ho letto con un amaro sorriso sulle labbra l’articolo di Ilvo Diamanti su Repubblica, Buongiorno, no grazie.
Ecco, vorrei insegnare ai miei figli a salutare chi incontri perchè, come dice Diamanti, “La persona che saluti diventa qualcuno che “ri-conosci” anche se non lo conosci. Qualcuno che, a sua volta, ti ri-conosce, per reciprocità. Un “quasi” prossimo. Un “non estraneo”, Un cenno di saluto serve, dunque, a tracciare un perimetro dentro il quale ti senti maggiormente a tuo agio. Meno estraneo. Come avviene dovunque tu conosca o almeno riconosca qualcuno.
Altrimenti, per quel che mi riguarda, mi sento spaesato. Fuori con-testo. Non dispongo, cioè, di un testo condiviso, di un linguaggio comune ad altri, anche se espresso senza parlare.
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Tags: Ilvo Diamanti, La Repubblica
Grazie Adele! Ho stampato la tua bellissima testimonianza per mia figlia, cui non sono finora riuscita a trasmettere il bisogno profondo di salutare. Sì, lei saluta, ma una persona su tre, solo quando le va. A volte in modo affettuoso e solare, altre volte no, magari solo perché è distratta. Forse è perché non sono riuscita a farle capire che è importante. Forse perché prima di leggerti non avevo capito neppure io perché è importante. Grazie di cuore!
Caspita Lisa, grazie mille. Era un’osservazione che mi era venuta così di getto, dopo aver letto l’articolo di Diamanti. Poi, quasi quasi mi vergognavo di averlo scritto. Proprio per questo sono contenta di aver sollevato un tema che, soprattutto in città, è “sentito” e forse, come dimostra il tuo commento, anche condiviso.
Ciao Adele e ciao Lisa,
volevo raccontarvi la mia esperienza di cittadina finita in campagna. Per me la cosa è andata un po’ al contrario. Io sono una persona molto timida e riservata.
in più in qualche modo, quando ero piccola, mi hanno insegnato a rispettare la privacy degli altri, come se, sollevare lo sguardo e guardare in faccia il vicino fosse troppo sfrontato. Credo che questo fosse il risultato di una difficoltà dei miei genitori “meridionali” in un nord un po’ diffidente, che in qualche modo cercavano senza disturbare di fondersi con la folla, per sentirsi parte di quella società.
Ma ormai grande prendo una decisione opposta a quella dei miei e cioè esco dalla city e riscopro il piacere della calma, calda, realtà della provincia che ti coccola con sorrisi e saluti. Non è il paradiso, i problemi sono tanti, ma diversi.
Camminare per le stradine del mio paese mi scalda il cuore, anche se a volte ho bisogno di immergermi ancora nella caotica città perchè in quel non essere nessuno c’è la sensazione di essere più liberi. Pare che per tutto ci sia un prezzo da pagare accidenti! Comunque buongiorno a tutti!
A me buongiorno piace dirlo, e i miei bimbi sono come quelli descritti da Lisa
A volte mi sembra che a loro basti essere salutati per aver stabilito un contatto e quindi ritengano superfluo il passaggio successivo, ma non demordo.
Poi però se non ho attorno almeno un milione di persone mi manca l’aria. Prezzo alto da pagare
Giro per strada spesso intorcinata nei miei pensieri o in qualche fantasia, talvolta con l’iPod nelle orecchie, che facilita l’evasione e amplifica emozioni solo mie. Non sono una campionessa di saluto caloroso, per distrazione, essere colta da un buongiorno mentre cullo i miei pensieri mi fa arrivare in ritardo sullo scambio, magari risulto tentennante, impacciata o poco calorosa, e me ne dispiaccio. Lo capisco quando mi capita di passeggiare in montagna, dove la bella abitudine di “riconoscersi” con un buongiorno resiste ancora. Allora mi accorgo che quel salutarsi sintonizza su una nuova distanza, non vera prossimità, ma distanza corta, ditanza di attenzione: smetti di ignorare l’altro, lo rendi presente. E poiché non ti è prossimo (non lo conosci), la sua presenza si circonda subito di una “buffer zone”, una zona cuscinetto tra te e lui, invisibile ma palpabile: non è per difesa, semmai induce al rispetto. Non puoi offendere chi hai salutato.
I giapponesi sono maestri nel creare quest’area attorno alle persone che incontrano, lo fanno con un inchino silenzioso che genera una immediata e contagiosa gentilezza.
Dire buongiorno non è buona educazione, come mi insegnavano da piccola, umiliandomi in pubblico se non lo facevo. Dire buongiorno è riceare ogni giorno, ogni minuto, una “socialità civile”.
Questa è una coincidenza davvero inaspettata. Dovevo proprio capitare da queste parti…
Ho dato vita, da qualche tempo a un progetto che nasce esattamente intorno all’idea di rivalutare e riappropriarsi di una micro-relazione nello spazio urbano. Nel mio caso si tratta di sguardi tra automobilisti e pedoni sulle strisce, ma nella, per ora, breve esperienza registrata, sono presenti alcune delle riflessioni che avete lasciato qui sopra.
Se avete voglia di dare un’occhiata, magari c’è qualcosa che può interessarvi.