ritratto di famiglia ebrea in interno
(Benny Barbash Il piccolo Big Bang)

11 marzo 2011

Benny Barbash, Il piccolo Big Bang (Giuntina, 2011, traduzione di Shulim Vogelmann, € 12,00, ebook € 6,99). La prime 30 pagine si leggono ridendo da soli, ed è meglio saperlo nel caso si pensasse di portare questo libro in treno, in metropolitana o nella sala d’attesa del dentista. Al centro della storia, che più avanti si scopre essere raccontata dal figlio dodicenne, c’è un papà un po’ grasso – ma in fondo non è sicuro di essere veramente grasso, benché la moglie sia propensa a definirlo così, mentre sua madre al massimo è disposta a concedere che lui sia in leggero sovrappeso – e mentre riuniti attorno al pranzo del sabato i suoi familiari stretti bisticciano in proposito, il papà, per nulla contento che il suo grasso sia diventato l’argomento principale della conversazione, si mette a pareggiare la torta rimasta sul vassoio. Interno di casa ebrea, Israele. Se non avete conosciuto o frequentato per esperienza diretta o letteraria l’arte della dissertazione che gli ebrei applicano con ossessione e compusione a ogni argomento, dalla Torah alla politica al grasso, le prime pagine sono un gustoso ingresso nel carattere di questo popolo. E sono condite a ogni riga da buona dose di ironia – autoironia, essendo l’autore israeliano – che è figlia della consapevolezza, ma è anche proteina essenziale nella sequenza del dna ebraico. Si ride, come dicevo, finché la storia prende una piega surreale [e qui avviso chi non volesse sentire svelata la trama di saltare al prossimo paragrafo]: deciso a dimagrire e dopo aver tentato ogni sorta di dieta strampalata, il papà grasso si imbatte in quella delle olive ed è lì che qualcosa arriva a cambiargli la vita e sì, anche la linea, ma in modo così sorprendente che il dimagrimento passa in subordine, perché un nocciolo d’oliva gli si incunea nella gola e misteriosamente cominicia a germogliare, gettando rametti  di ulivo fuori dal suo orecchio.
Tutto quello che succede in seguito è assolutamente irrealistico ma discusso e vivisezionato con minuziosa passione intellettuale e argomentativa nelle surreali e serissime conversazioni fra i parenti, fino all’epilogo che, anziché scendere a chiudersi come nella tradizionale parabola di ogni narrazione, è in salita, resta non solo aperto ma sembra essere la chiusa stessa un punto di passaggio. L’autore ne è consapevole, infatti a pagina 117 scrive che «in una storia, al contrario che nella vita, ci devono essere almeno quattro cose: un inizio una parte centrale, una fine e sicuramente un significato», ma sceglie di chiudere senza chiudere, in un momento di picco grottesco e anche un po’ drammatico, lasciando a noi di immaginare il finale e pure il significato dell’intero romanzo. E il significato è qui, un saggio di ebraicità completo del tipico equipaggiamento di ironia e sagacia.
C’è una pagina che ho trovato splendida, in cui la voce narrante (il dodicenne) sintetizza quello che gli ebrei pensano degli arabi, gettando una luce anche su una certa “arabicità” che ritroviamo sciolta, per via di dominazioni e secolare mescolamento di sangue, nelle vene d’Italia.

«[…] chiunque abiti nel Medio Oriente e conosca un poco la mentalità araba sa per certo due cose: uno, che non ci si può fidare, perché una parola loro non è una parola e due che il sangue gli si scalda in fretta, poi gli sale a cervello e allora diventano incontrollabili e molto pericolosi.
Ci sono molti motivi che fanno salire il sangue degli arabi al loro cervello. Prima di tutto, poiché sono primitivi, per loro non c’è niente di più importante dell’onore. L’onore per i levantini è come l’aria per le altre persone, e se non uccidono colui che ha offeso questo onore, allora perdono tutta la loro ragion d’essere.
Per loro è più importante l’onore della loro donna e dei loro bambini, è addirittura più importante del loro cammello. Ti taglieranno in tanti piccoli cubetti se sospetteranno che gli hai offeso l’onore, anche se gli chiedi scusa e gli spieghi che non intendevi farlo – perché un’altra delle cose che succedono quando gli sale il sangue al cervello che non sono disposti a sentire scus; e non solo ti faranno a cubetti, ma se la prenderanno anche con la tua famiglia e faranno fuori anche tutti i tuoi parenti, fino agli zii di terzo o quarto grado, perché per loro la vendetta del sangue è quasi più importante dell’onore stesso.
[…] In generale hanno sempre la sensazione che qualcuno li voglia fregare, e per questo sono sospettosi e non credono a nessuno, neppure uno all’altro; e quando uno è sospettoso, allora diventa furbo, è una cosa nota, perché se pensi che tutto il mondo sta cercando di fregarti, allora sei costretto a fregarlo a tua volta, e quindi la furbizia loro ce l’hanno nel sangue. E anche per questo motivo non si riesce ad arrivare a un accordo con loro, perché, quando vai a firmare l’accordo, loro si mettono in testa che se tu sei sereno rispetto all’accordo è sicuramente perché c’è qualcosa di svantaggioso per loro, e allora si pentono e cominciano a lagnarsi e a fare attentati per ottenere un accordo migliore sul quale saranno comunque sospettosi quando andranno a firmarlo […]» (pagg. 91-93).

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(Benny Barbash Il piccolo Big Bang)”


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