la rucola

13 novembre 2010
Un racconto di: Nicoletta Giorgio

“Biglietti prego”
“Sono un collega, ti faccio vedere il tesserino?”
“No, figurati”
“Lei è mia moglie”
“Benissimo, allora buon ritorno”.

Anche se faceva un bell’effetto non era stato come qualche ora prima, che era stata la prima volta, e lei, nell’essere pronunciata da un’altra voce, moglie per un altro uomo, si era sentita rinascere, era come se quell’insieme di suoni, messi insieme, le avessero dato un altro corpo e un’altra vita.
Mario le aveva detto partiamo, non ti dico dove ti porto, è una sorpresa. Lei aveva preparato i panini, li aveva comprati il giorno prima, di mattina, e li aveva subito congelati. E poi aveva comprato la carne, e non aveva badato a spese, e aveva comprato anche la rucola, che aveva mangiato la prima volta da poco, non ne conosceva l’esistenza, ma l’aveva vista su un giornale, in una ricetta, e l’aveva provata, ed era amarognola e pizzicava, ma con quel nome faceva fine e le sembrava che usarla fosse una cosa moderna.
Quella stessa sera aveva tolto i panini dal freezer, li avrebbe fatti scongelare lentamente, e al mattino sarebbero stati morbidi, come appena comprati, e non li avrebbe riscaldati nel forno perché altrimenti sarebbero diventati duri come pietre, perché li avrebbero mangiati ore dopo.
Si partiva presto, quella mattina. Il treno era alle 7 e 10 da Porta Nuova. Lei aveva puntato la sveglia alle 4.30, ma alla fine non era servita perché non aveva dormito, si era rigirata cento volte nel letto dall’emozione, e alla fine si era alzata alle 4.00, e aveva aperto il frigorifero, tirato fuori le fettine di lonza, le uova, che aveva sbattuto, e in quella crema ci aveva gettato la carne che poi aveva impanato e fritto, sotto la luce della cappa perché era talmente presto che faceva ancora buio, e aveva aperto la finestra della cucina, che dava sulle scale, e quel profumo avrebbe invaso tutta la scala C del loro palazzo, e poi era agosto e faceva caldo, quindi l’alba era l’unica ora in cui potesse cucinare senza ammazzarsi dal caldo, e poi non c’erano i figli, che dopo tutto il casino che era successo avevano deciso di scendere in Calabria a riposarsi.
Le fettine panate avevano fatto una crosticina tutta dorata e croccante, e lei le aveva messe sulla carta assorbente ad asciugare dall’olio, e poi aveva tagliato il pane e ficcato dentro la carne, due fette di pomodoro e la rucola. Ne aveva fatti otto, e li aveva avvolti nella carta stagnola e messi nella borsa termos presa coi punti dell’Autogrill, e visto che quella mattina doveva essere speciale, e Mario le faceva una sorpresa, lei non voleva essere da meno, e aveva finito di friggere prima che lui si svegliasse, e aveva preparato il caffè e glielo aveva portato a letto come nei film, e non aveva messo altro da mangiare perché a colazione Mario non mangiava, aspettava qualche ora, e lei invece aveva lo stomaco chiuso dall’emozione.
Erano arrivati al binario, e salivano sul Freccia Rossa, il treno dei ricchi, quello che andava a Bologna, e lei aveva pensato che forse andavano dal fratello di Mario che stava lì, che finalmente veniva presentata in famiglia, e allora aveva pensato che tutti quei panini erano inutili, e si era sentita una scema  e li voleva buttare in mezzo ai binari, con tutta la borsa termica e il Gatorade, che aveva comprato perché sapeva che i viaggi sono faticosi e se si suda bisogna riprendere i sali minerali, e anche se lei aveva viaggiato poco voleva fare quella di mondo.
E poi erano saliti sul treno, ed era bellissimo, tutto pulito e lucido, e non quella schifezza di immondizia che era l’intercity che prendeva per andare a Lecce, e avevano i posti prenotati come i veri signori, come le raccontava la Signora Gubbi dalla quale faceva i lavori, che prenotava sempre e prendeva il Freccia Rossa. E poi erano arrivati a Bologna, e alla stazione non c’era nessuno ad aspettarli, e Mario l’aveva portata al bar della stazione a prendere il caffè, e conosceva tutti in quel bar, perché lavorava da una vita nelle ferrovie e lui aveva viaggiato molto, e poi gli piaceva chiacchierare e avere degli amici. Ed erano entrati al bar, avevano preso il caffè, e la signora al bancone aveva chiesto se volevano una piadina con la porchetta e la rucola, e Mario, che alle cose ci arrivava, a differenza del suo ex marito, aveva detto di no, aveva detto che la sua signora gli aveva preparato dei panini che avevano la rucola anche loro e che erano più buoni della piadina con porchetta. Usciti l’aveva portata ad un altro binario e lei aveva letto, sulla pensilina, treno Freccia Argento per Venezia ed aveva capito: i suoi panini andavano bene come anche il Gatorade.
Erano saliti, e il Freccia Argento era bellissimo ma era più stretto del treno di prima, e lei e Mario avevano due posti vicino con davanti un tavolino che si toglieva dalla poltrona, e lei allora gli aveva chiesto se voleva un panino, ma era ancora presto e Mario aveva detto che beveva con piacere il Gatorade, che si sentiva sudato. Infatti avevano sudato tanto, perché faceva un caldo bestiale, e lei, per viaggiare comoda, si era messa i jeans, che non le sembravano così comodi, anzi, si erano tutti bagnati di sudore e le premevano sulla pancia, che anche se si era dimagrita, e anche se Mario le diceva che aveva un figurino meraviglioso, lei si sentiva sempre un po’ grossa e sapeva di avere la pancia.
Ma quel giorno andava a Venezia, che l’aveva sentita nominare tante volte, e suo figlio c’era andato in gita scolastica e le aveva portato una gondola in miniatura in regalo, e lei l’aveva messa dentro la credenzina, così per farla ammirare, perché lei Venezia sapeva solo che era bella ma non aveva neanche avuto il tempo di immaginarsela in questi anni, che lavorava come una negra a fare le pulizie nelle case, che aveva avuto tre figli e un marito che le faceva schifo e di cui finalmente si era liberata, perché aveva conosciuto Mario, che le abitava nel balcone davanti, e visti i loro orari strani si vedevano, e dopo avevano preso a spiarsi e infine a cercarsi, ed erano diventati amanti, e lei non aveva lasciato il marito per anni, aveva aspettato che i figli crescessero e che Mario le dimostrasse fiducia, perché ai maschi faceva fatica a credere. Ma Mario l’aveva convinta, e lei aveva mollato quel debosciato, e prima aveva però chiesto il permesso ai suoi figli,
che le avevano detto che la vita era la sua e che poteva fare quello che voleva.
Era arrivato il controllore, che chiedeva i biglietti in quel treno così pieno in cui nessuno praticamente parlava italiano, e c’erano delle donne biondissime naturali che parlavano con un accento che la faceva ridere e delle cinesi vestite benissimo, e c’erano dei bambini stranieri che sembravano buonissimi, e il controllore, quando era arrivato a loro, era stato più gentile che con gli altri, perché erano italiani e si capivano, e perché Mario lavorava nelle Ferrovie e quindi si capivano ancora di più, e Mario, anche se non era vero, aveva detto che lei era sua moglie, e lei si era ritrovata in quell’altra forma, e il bigliettaio gli aveva solo detto di godersi quella giornata a Venezia.
E poi, non aveva ancora fatto in tempo a capire tutto che di colpo non aveva capito più niente, perché Mario le aveva detto guarda dal finestrino, guarda bene sotto, e lei aveva visto una magia, aveva visto delle rotaie, le rotaie del suo treno, camminare sull’acqua, e le cinesi davanti l’avevano imitata, avevano seguito il consiglio del suo Mario, e tutte insieme avevano detto “Ohhhhhhhh”, e si erano sorrise, e secondo lei si erano capite anche se parlavano lingue diverse, e da lontano aveva iniziato a vedere quella città che sapeva essere bellissima ma che pareva ancora più bella perché lei una bellezza così la vedeva per la prima volta.
Ed erano arrivati alla stazione, e c’era un sacco di gente coi cartelli che aspettava i turisti, ma Mario stava gestendo tutta la situazione e l’aveva presa per mano, e lei si era fidata, e le aveva detto, arrivati quasi all’uscita, chiudi gli occhi, e lei li aveva chiusi, e mentre si faceva trasportare da quella mano, come una cieca, aveva sentito la sensazione sulla pelle dell’aria fresca e del sole misto all’acqua, e quando Mario le aveva detto che poteva riaprire gli occhi, si era voluta gustare a pieno quel momento, e li aveva riaperti lentamente, e si era trovata davanti la cosa più bella che avesse mai visto, perché il Canal Grande (glielo aveva detto Mario che si chiamava così), aveva l’acqua che sembrava con le pagliuzze d’oro sopra e quei ponti avevano una forma tutta particolare che lei non sapeva descrivere ma sapeva che era bella, e si erano avvicinati all’acqua, e Mario aveva messo due giornali sui gradini per sedersi e a quel punto avevano aperto la borsa termica e tolto fuori i panini, e lei era stata attenta a dargli un fazzoletto di carta per tenersi pulito, e sotto i denti, con quell’aria e quella luce,  con quei ponti e la gente straniera, la rucola, con la fettina panata e il pomodoro aveva un sapore diverso.

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