c’era una volta La grande enciclopedia della donna (e perché dell’uomo no?)

12 novembre 2010
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È arrivato in libreria un estratto della Grande enciclopedia della Donna pubblicata a fascicoli dal 1962 al 1966. Dedicata a fidanzate, spose e madri, era un rosario di consigli prêt à porter («nei luoghi pubblici la donna di buon gusto sarà sempre ordinata»), pillole di autocritica («se la donna al volante è spesso maldestra, ha però una scusante: essa guida in condizioni psicologiche di inferiorità») e concessioni alla modernità («non è più sconveniente che una signora entri da sola in un bar, purché mantenga un contegno appropriato»). Di quell’opera ciclopica Rizzoli pubblica la versione libretto, un “come eravamo” con più ironia che nostalgia. L’idea può divertire quanto lasciare indifferenti, ma accende una domanda: perché qualcuno, 40 anni fa, si è preso la briga di vivisezionare e catalogare il mondo femminile, nonché di compilare 3.200 pagine di regole per discipliarlo, ma nessuno, né prima né dopo, si è prestato ad analoga opera per l’universo maschile? Roba tipo: «il tifoso deve alla fidanzata dedizione pari a quella che ha per la squadra del cuore», «il marito esemplare non lascia i calzini usati sul pavimento del bagno», «se decide di accompagnare la moglie in sala parto, il futuro papà cerchi di non richiedere cure superiori a quelle necessarie alla partoriente». Poteva  essere utile. Ma nessuno ci ha pensato. Pigrizia? Disinteresse? Sacro rispetto? O forse è che, oltre a qualche regola di civile convivenza, non ci sarebbe stato motivo di compilare un’enciclopedia? Sì, perché questo termine svela l’obiettivo: riunire tutto ciò che si sapeva (o si credeva) a proposito delle donne, sviscerare per contenere, come cintare un giardino troppo vasto e mutevole. Le donne sono quelle che decidono di rompere una storia se non funziona; reagiscono più in fretta a un abbandono; scendono ancora in piazza per i valori che contano. Sono le contorsioniste della doppia vita famiglia-lavoro. Sono quelle che si tolgono il velo per sentirsi libere, o che, per la stessa ragione, se lo mettono. Quelle che ripartono dai traguardi delle loro mamme femministe: per chiedere più potere, ma anche trovare un modo femminile di gestirlo, o per dire che il potere così non lo vogliono, e cercare altro. La propensione alla metamorfosi, l’abilità di adattarsi ai cambiamenti e di produrne, un’energia creatrice di svolte: ecco da sempre il nostro cuore segreto. I maschi, ovvio, hanno altre qualità. Ma nel regno in cui tutto evolve e tutto è possibile, abitiamo da sole. Timorosi di avventurarsi su questo sdrucciolevole sentiero del femminile, gli uomini hanno cercato di dargli regole e freni. Non so se per questo sia nata l’ingenua enciclopedia a fascicoli dei pudichi anni Sessanta (che erano pure quelli della minigonna), ma il nesso esiste. E l’interrogativo sull’assenza di un’enciclopedia dei maschi si fa augurio: che a qualcuno, prima o poi, venga voglia di scriverla. Vorrà dire che gli uomini avranno smesso di cercare le “mogli di una volta” e di essere spiazzati dai nostri cambiamenti. E magari avranno iniziato a scomporsi in forme imprevedibili come le immagini di un caleidoscopio, a produrre mutamenti inattesi. Non è questo che vorremmo da loro? Che ci sorprendessero al punto da desiderare qualcosa per contenerli, anche un’ironica enciclopedia. (Se poi servisse da antidoto ai calzini abbandonati in bagno, tanto di guadagnato!).

Pubblicato su Donna Moderna n. 48, 2006

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Vale la pena di sfogliarla, La Grande enciclopedia della Donna (Rizzoli, 2006, € 25,00), ha una divertente introduzione di Lella Costa ed è un piccolo capolavoro di modernariato italiaco, con foto d’epoca, vignette che sembrano barzellette (ma l’intento didascalico era serissimo) e sezioni dai titoli oggi impensabili: L’angelo del focolare, Bon ton in pubblico, Viva la mamma…

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