piaceri volatili
(Francesco Piccolo Momenti di
trascurabile felicità)
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Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo (Einaudi, 2010, € 12,50) è un libro-elenco di cose minute che accadono a tutti con frequenza, più alcune sue personali ma in cui ti ritrovi. Cose che per il loro semplice succedere e ripetersi diventano familiari al punto da farci sentire a casa quando capitano un’altra volta: «Quando quello che ti ha chiesto di conservargli il posto, finalmente arriva. E puoi dimostrare a tutti quelli intorno che era vero» (pag. 91); «quando mi sveglio in un posto che non è casa mia, quell’attimo in cui non capisco ancora dove sono: E anche quando poi lo capisco» (pag. 11). Qualcuna è esilarante, come quella del negozio di scarpe o quella del pigiama, ma non posso scriverle tutte, ci sono i diritti da rispettare. Anche se io lo cito per puro entusiasmo.
Un anno fa non sapevo niente di Francesco Piccolo. Un giorno in libreria vedo La separazione del maschio (Einaudi), ha una foto forte e bellissima in copertina, un nudo di donna in bianco e nero, la quarta dice: “le troppe vite di un uomo a quarant’anni: il matrimonio, il desiderio, la paternità, il tradimento, il senso di colpa. E soprattutto, il sesso. Un romanzo scandaloso e disarmante come una confessione”. Lo compro. Un marito e padre affettuoso vive con ingordigia molte storie parallele e molto sesso, senza per questo smettere di amare la moglie e la famiglia. Il romanzo, che ti convinci sia autobiografico anche se magari non lo è o chissà in quale misura, trasuda essenza di maschio: non per il tema, ma per come il protagonista (nei cui occhi vieni calato) vive le relazioni, per i dettagli sugli odori, i sapori, il desiderio, i pensieri; per una donna è come entrare finalmente nel cervello maschile.
E poi Francesco Piccolo – che a quel punto ho scoperto essere un famoso autore tv e sceneggiatore (ha scritto anche il film di Virzì candidato all’Oscar) – è speciale a smascherare le minutaglie del quotidiano e dei sentimenti, senza timore di rivelarne le piccole meschinità. C’è una pagina memorabile in cui racconta il batticuore prima di rientrare a casa dalla moglie dopo essere stato con una delle tante altre donne che lui a suo modo ama (senza per questo amare meno la moglie).
Finito il romanzo ero innamorata di Francesco Piccolo, che poi ha un nome che col mio è una specie di uguale e contrario. Sono andata in libreria e ho comprato Allegro occidentale (Feltrinelli), un altro libro geniale che vi racconterò un’altra volta (vi dico solo che è una fenomenologia ironica ma serissima del viaggiare ai giorni nostri: le pagine dedicate a un volo aereo in business class, quelle sugli elefanti in Sri Lanka, quelle sull’Australia sono capolavori. Ma ve ne parlerò un’altra volta).
Devo tornare da dove ero partita: perché leggere Momenti di trascurabile felicità? Non è un romanzo, non ha una trama, è un elenco, come dicevo. Però esercita l’occhio a osservare e la testa a raccogliere le sensazioni minime che ci danno una cornice, un contesto, un mondo familiare, anche se per lo più le ignoriamo. E poi perché fa sorridere e a volte anche ridere parecchio, come quando parla del pigiama e del negozio di scarpe e, sì, non posso resistere dal copiarvi almeno questo: «Entro in un negozio di scarpe, perché ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46. Lei torna e dice: mi dispiace, non abbiamo il suo numero. Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41. E mi guarda, in silenzio, perché vuole una risposta. E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41» (pag. 8).
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Scritto da: Francesca Magni
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Tags: Allegro occidentale, Einaudi, felicità, Francesco Piccolo, ironia, La separazione del maschio, libri di Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità
Francesco Piccolo me lo ricordo quando scriveva (non so se lo faccia piu) su Diario che negli anni ’90 usciva come allegato a L’Unità. Il Diario – quando avevo tanto tempo libero e non avevo famiggghia – era una delle mie attesissime letture settimanali. Francesco Piccolo curava una rubrica molto divertente ed ironica. Credo che uno dei suoi libri lo leggerò, forse La separazione del maschio
Ho conosciuto Francesco Piccolo tre anni fa alla Fiera del libro di Torino, avevo appena finito di leggere L’Italia spensierata. Grandioso. Lui è una specie di gigante buono, un Polifemo casertano, un serissimo cialtrone. Mi ha dato il suo numero di cellulare con una serenità ai limiti dell’avventatezza. Mai chiamato, tranne ieri per dirgli Grazie, il tuo ultimo libro mi ha reso felice. Soprattutto il pezzo ” togliere il cetriolo dal cheesburger”. Ecco, questo è felicità.
L’ho letto quasi tutto l’ultima volta che sono stata da voi a tenere la prole… La cosa che mi ha colpito davvero è che ci sono scritte cose che mi sono successe, o che ho provato, non ho mai raccontato a nessuno ma ero profondamente convinta che facessero parte solo del mio unico, personalissimo universo (pur avendo il vago e sommerso sospetto che potesse non essere esattamente così).
Da un lato ho storto la bocca, della serie: tu, Francesco Piccolo o come ti chiami, cosa ci fai nella mia vita?!
D’altro canto, invece, mi sono messa l’anima in pace e ho tirato un sospiro di sollievo.
Quando il 31 dicembre sono arrivata in areoporto con 2 ore di anticipo rispetto al mio volo e ho scoperto che fra tutto quello di cui avrei potuto fare a meno avevo dimenticato proprio l’unica cosa indispensabile , il mio libro, ho avuto un attacco di panico. Si, perchè se c’è una cosa che proprio mi mette di cattivo umore è la vuota attesa.Dopo essermi guardata un po intorno, aver studiato i miei sconosciutissimi compagni di viaggio, dopo aver comprato una bottiglietta di D&G Light Blue e un pacchettino di gomme da masticare ,l’impazienza ,che fino ad allora era rimasta seduta in un angolino, ha incominciato a far sentire la sua fastidisiosissima presenza. Mi ero promessa di non acquistare nuovi libri fino a che non avessi terminato la dozzina che ho sul comodino, ma io non sono brava a mantenere le promesse, sprattutto quelle fatte a me.
Ho trovato però un compromesso. Avrei acquistato un libro di non più di 150 pagine , in modo da poterlo terminare al massimo nel viaggio di ritorno senza , così, andare ad alimentare il nutrito numero di quelli che mi aspettavano a casa.
Sono entrata nella piccola libreria e l’impatto non è stato positivo.
Davanti ai miei occhi una fila fitta di copertine su cui vi era stampato il viso di Barbara D’urso.
(Ho un’avversione per questa donna in particolare, e in generale per tutti coloro che scrivono un libro senza essere scrittori. Se “Essa” può scrivere allora io posso fare l’astronauta).
Ho scavalcato quell’ammasso di alberi morti, dribblato la sezione “cotto e mangiato”, “le ricette di nonna papera”, ” come cucinare un abbacchio con sistema dietetico” , “101 ricette con lenticchie ripiene” e mi sono rifugiata impaurita nella sezione dei classici.
Ho tirato un sospiro di sollievo e ho incominciato a cercare.
In genere arrivo in libreria con le idee piuttosto chiare.
Scelgo un autore e compro 2 o 3 dei suoi libri in ordine cronologico.
Se nella sua biografia ho letto di un contatto con qualche altro autore che ha influenzato o ispirato il suo lavoro so già cosa sceglierò nell’acquisto successivo.
Oppure vado per periodo storico o corrente letteraria.
Insomma c’è un ordine.
Stavolta no. La prima scrematura è avvenuta su un parametro che chiamerei “fisico”: il numero di pagine.
Se il libro superava le prestabilite 150 pagine lo riponevo senza se e senza ma nello scaffale.
Ma diciamoci la verità : un classico di 150 pagine?
Tolto Herman Hesse (compagno di decine di viaggi adolescenziali) c’era ben poco tra cui scegliere.
Ad un tratto una signora con una vistosissima pelliccia, una borsa zebrata e rossetto rosso spalmato oltre la linea delle labbra (Brrr!)ha urtato un ragazzo e ha innescato un sorprendente effetto domino (Ma porca miseria la D’Urso, maledetta, è rimasta in piedi!).
La “signora” ha guardato il ragazzo dalla testa ai piedi e poi infastidita si è allontanata incurante del disastro che aveva causato con quella arroganza tipica delle donne stupide e con la puzza sotto il naso che credono che a loro sia tutto dovuto. Sono rimasta ad osservare il ragazzo che chino sui volumi sparsi per terra recitava il suo sacrosanto rosario e poi per non fare l’italiano tipico , quello che rimane a guardare un altro che lavora, mi sono avvicinata per aiutarlo ed è stato allora che ho capito che quello che stava recitando non era esattamente il rosario…
Ho sorriso, perchè la stupidità delle persone (e della “signora”) mi fa sempre sorridire e ho iniziato a riporre i libri sul piano basso al centro della stanza dal quale erano caduti.
Poi ne ho notato uno. (Bianco, pochissime pagine e per questo attraente).
Ho letto il titolo: Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo edito da Enaudi , poi il piatto inferiore su cui erano riportate alcune parti del libro e in particolare questa:
«Entro in un negozio di scarpe, perché ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46. Lei torna e dice: mi dispiace, non abbiamo il suo numero.
Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41.
E mi guarda, in silenzio, perché vuole una risposta.
E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41».
Ho solo pensato:<>
A Francesco Piccolo fregherà poco o niente, ma il suo libr(icino) si era appena aggiudicato il premio: Volo con Annalisa.
136 pagine: compromesso salvo.
Ho incominciato a leggerlo subito. Un elenco senza capo nè coda di piccoli piaceri effimeri che in fondo in fondo danno senso alle giornate se non proprio alla vita.
Niente di trascendentale, ma intelligente, spiritoso e gradevole come quei rari incontri in treno che ti lasciano un bel sorriso stampato sul viso e che riaffora ogni volta che ripercorri quel tratto, anche a distanza di anni.
Non ho mai staccato gli occhi dal libro neanche quando ho mostrato al gate la mia carta di imbarco allo stewart.
( deduco fosse uno stewart dalla voce maschile, ma non mi sorprenderebbe il contrario).
Ho viaggiato accanto a 2 ragazze che non hanno risposto al mio buongiorno.
In aereo ho alzato la testa solo due volte.
1°volta : al momento dell’illustrazione delle misure di sicurezza.
Le conosco a memoria, tanto che a volte scelgo di rimanere a leggere il mio libro di turno o a completare il Ghilardi o Bartezzaghi sulla settimana engministica, ma alla fine finisco sempre per osservarle con attenzione perchè non voglio avere rimpianti se mai ( e spero mai) un giorno dovesse cadere davanti agli occhi la maschera per l’ossigeno.
Ecco, scoprirmi impreparata mi farebbe incazzare parecchio e se proprio devo morire non voglio farlo con rabbia.
2° volta: quando una delle ragazze ha chiesto all’altra: ” Chi ti ha IMPARATO ad andare sull’aereo?”
Mi sono messa a ridere, ma avranno pensato che fosse per quello che stavo leggendo.
E in effetti il libro strappa qualche sorriso, ma loro di più…
Quando sono scesa dall’aereo lo avevo terminato.
Ho dovuto comprarne un altro per il ritorno.
Stavolta ho seguito il vecchio ordine: La separazione del maschio di Francesco Piccolo.
[…] piaceri volatili (Francesco Piccolo Momenti di trascurabile felicità) (517) […]
Dedicherei questo libro alle persone che non si accorgono. Che non fanno caso a nulla. Che sono talmente impegnate a lamentarsi che arrivano in fondo alla vita senza aver assaporato niente, nemmeno un fugace momento di trascurabile felicità. Questo libro mi sembra un inno alla vigilanza e un invito a esercitare la presenza!
Quella del negozio di scarpe è fenomenale anche secondo me, ho riso per mezz’ora quando l’ho letta!
uno dei migliori libri che ho avuto il piacere di leggere negli ultimi anni, e indubbiamente il miglior spettacolo della stagione passata!
la riscoperta delle piccole cose sta alla base della felicità umana, specialmente in questo momento storico.
morale? le piccole cose non andrebbero trascurate ma bisognerebbe vivere sempre tuto in pieno!
Di recente un’amica mi ha consigliato proprio questo libro: lei ne era entusiasta. Bene, io mi tengo fuori dal coro. Sono arrivata a malapena a metà e poi l’ho gettato alquanto innervosita. Ecco, questo è quello che ho provato: nervoso. Fin dalle prime pagine ho capito che non era nelle mie corde: la sceneggiata per andare al cinema mi ha indisposto più che mai. Insomma, se hai voglia veramente di andare al cinema fai di tutto per andarci e non il contrario! Il racconto della ragazza che dura il tempo in cui è assente la sua amica è patetico. Ecc. ecc. ecc. Se queste sono le piccole cose da tener care bè allora sono felice di avere valori ben diversi e di aver gettato nel cassonetto questo opuscolo.