le infinite differenze dell’essere
(Antonietta Pastore Leggero il passo sui tatami)
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A pranzo con una collega, ho raccontato del mio imminente viaggio in Giappone. Mi ha consigliato Leggero il passo sui tatami di Antonietta Pastore (Einaudi, 2010, € 13,50), uscito qualche mese fa. Detto e comprato. È un libro piacevolissimo anche per chi non sta partendo per Tokyo e addirittura per chi non ha alcuna attrazione – o ha una repulsione – per questo Paese: perché la vera scoperta che fai leggendo questi capitoli, ognuno un “quadro” di vita giapponese vista con occhi occidentali, è che un mondo estraneo, anche quando l’hai veramente penetrato e conosciuto, resta estraneo, e proprio per questo ti insegna le infinite differenze dell’essere. Ti fa accettare nuovi criteri di giudizio, assimilare nuovi giudizi estetici e capire «l’inconsistenza del concetto stesso di buon senso». Antonietta Pastore ha sposato un giapponese conosciuto in Europa e si è innamorata del Giappone nel viaggio di nozze; andarci a vivere, quando lui gliel’ha proposto, le è sembrato bellissimo. Nel 1977 è cominciata la sua vita a Osaka, 16 anni in cui si è anche separata dal marito, senza però tornare in Italia. Troppi amici da non perdere, e quel Paese non le aveva ancora dato tutto. Trasferendosi in una nuova casa, Antonietta ha capito che parlare bene la lingua non era sufficiente, non poteva vivere da sola senza saperla anche scrivere. Gli ideogrammi sono una porta di ingresso, imparando a decifrarli riusciva meglio anche a parlare e capire, capire non solo le parole ma i comportamenti, le abitudini, i gesti, le formalità. Questo ha fatto la sua fortuna: Antonietta Pastore oggi è la traduttrice dei più importanti autori giapponesi tra cui Haruki Murakami, Natsume Soseki, Natsuki Izekawa, Yasushi Inoue. Ma soprattutto le ha permesso di percorrere fino all’ultimo i gradini della scala di gradimento di un occidentale per il Giappone, «qui ho vissuto una prima stagione esaltante nella scoperta di una società di incredibile raffinatezza, per conoscere poi un difficile periodo di rifiuto, e arrivare infine, attraverso fasi progressive di aggiustamento, ad affezionarmi a questo popolo formale, discreto e disciplinato, ma anche irrazionale, superstizioso, sentimentale e ingenuo». Non posso raccontarvi gli epidosi, spesso esilaranti e sempre stupefacenti, che Antonietta Pastore colleziona come pezzi di un puzzle da decifrare. Non farei che rovinarli. Ma posso dire che certe situazioni smontano il nostro incrollabile senso delle convenienze. Ci lasciano nudi e attoniti, ma felici della scoperta. Come nella gita in montagna, quando Antonietta vede gli otto tatami affiancati su due file su cui dormirà con degli sconosciuti, e dispone i cuscini in modo che le teste stiano lontane e solo i piedi si avvicinino; scoprirà il giorno dopo di aver scombussolato i colleghi giapponesi privandoli dell’opportunità di parlarsi fra sconosciuti, sottovoce di notte, testa contro testa. Se entri in un mondo che non conosci, fallo con delicatezza. Leggero il passo sui tatami. E non solo se si tratta di tatami.
[Vi consiglio questa intervista ad Antonietta Pastore: parla soprattutto del suo lavoro di traduzione dal giapponese. Si chiude così: « Quanto agli ideogrammi, è bene sapere che si riconoscono meglio se inseriti in un testo, piuttosto che isolati (questo d’altronde è valido per tutto)»].
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Tags: Antonietta Pastore, Einaudi, Giappone, Leggero il passo sui tatami
…mi hai incuriosito!
Sono contenta! Ed è così pieno di piccole storie incredibili per noi, che lo leggi in poche ore.
😀 me lo presti?
Certo!
Ho ordinato subito il libro appena finito di leggere la recensione!
Ho sempre pensato che gli autori stranieri, (e quindi italiani) a parte rare eccezioni, non potessero comprendere appieno la mentalità e il mondo orientale, ma devo dire che non è proprio questo il caso, visto che la Pastore ha vissuto per tanto tempo proprio in quel mondo.
Allora aspetto un tuo commento! Io ho iniziato anche Nel Giappone delle donne, sempre di Antonietta Pastore. Poi ti dirò.
Mi ispirava anche quello perchè parla della condizione sociale femminile. attendo i tuoi commenti!
Ho appena finito di leggere questo libro: l’ho praticamente divorato!
Non ho potuto fare a meno di associarlo all’ultima pubblicazione di saggi autobiografici della Yoshimoto “un viaggio chiamato vita”. Così avevo da un lato un’italiana che scopre il Giappone e una giapponese che scopre l’Italia. In entrambi i casi sono forti i pregiudizi o i luoghi comuni, o il fascino che si prova nello scoprire un paese nuovo, ma poi, vengono superati (anche se non completamente). In ogni caso leggendo queste due autrici si ricava un immagine bella, composta, raffinata, ma anche rigida e pesante del Giappone: non posso fare a meno di pensare alla Yoshimoto quando scrive che in Italia, o quando si trova all’estero, avverte un’atmosfera meno pesante e si sente più tranquilla. All’inizio mi era sembrata un’affermazione esagerata, ma dopo aver letto la Pastore, ho dovuto ricredermi, perchè anche lei fa trasparire lo stesso sentimento. Mi ha colpito molto l’episodio in cui racconta che soffiarsi il naso in pubblico per i giapponesi è un atto sconveniente: mi sono ricordata, allora, che nei numerosi manga che ho letto è facile trovare disegni di personaggi raffreddati o ammalati che indossano una mascherina sul viso e ho capito solo adesso il significato di quell’oggetto che mi sembrava assurdo e ridicolo.
Manco a dirlo, ho sul comodino Un viaggio chiamato vita della Yoshimoto; è in attesa di essere letto (come molti altri). Grazie per avermi invitata a non rimandare troppo!
Una domanda: sei stata in Giappone? Ti vedo interessata all’argomento…
Sempre a proposito di Giappone, ho appena letto Il signorino di Natsume Soseki (Neri Pozza), magistralmente tradotto da Antonietta Pastore. È un libro molto strano, scritto all’inizio del Novecento, e vanta il primato del romanzo più letto dai giapponesi. Un’amica Giapponese spiega il fenomeno con il fatto che il protagonista ha la sfacciataggine di dire cose che nessun giapponese si concederebbe mai… Appena ho un attimo (e spero presto) voglio parlarne nel blog.
Anche se in questo momento sono stata “rapita” da Stanza letto armadio specchio di Emma Donoghue. Dopo una sessantina di pagine direi che è straordinario… E anche di questo vorrei parlare!
Se posso dire la mia sulla mascherina e il soffiarsi il naso. Comincio dal naso. A metà novembre sono stato ad una conferenza a Kyoto e durante tutto il convegno c’era il mio collega di fianco che tirava sù il naso e poi al massimo, fugacemente, si tamponava il naso con un fazzoletto. Idem uno sconosciuto in prima fila. Sembrava di essere all’asilo dove tutti i bambini tirano su col naso
La mascherina viene messa, contrariamente a quanto si pensi, per evitare di contagiare gli altri. E’ più una forma di rispetto per gli altri che una modalità di protezione dagli altri. E i giapponesi sono angosciati dalle epidemie di influenza.
Per esperienza, il Giappone può anche non essere pesante se riesci a non giudicarlo ma viverlo.
Purtroppo non sono mai stata in Giappone, ma sono affascinata da questo paese: dalla cultura,allo stile di vita. Sono stata “contagiata” fin da piccola dal mondo dei manga e, crescendo, ho approfondito leggendo anche i romanzi di autori giapponesi. Quello che apprezzo di più è Murakami…il suo modo di scrivere è davvero particolare! Non ho mai letto niente di simile alle sue opere che o si odiano o si amano. Non ho ancora letto nulla di Mishima o Kawabata (ma prima o poi lo farò). Ho letto diversi libri della Yoshimoto che apprezzo molto per lo stile semplice e intimistico che si avvicina agli shojo manga. Ho anche il libro di “Io sono un gatto” sul comodino: quando ho letto nel libro della Pastore che l’aveva tradotto lei sono andata subito a vedere e mi sono anche emozionata nel leggere il suo nome sul libro, libro che forse ho iniziato a leggere troppo presto ed è stato accantonato per la mia inesperienza, ma di sicuro lo rileggerò prossimamente. Un’altra autrice che ho letto è stata Harumi Setouchi: splendida nel descrivere amore, passione e violenza mettendo il lettore davanta alla cruda realtà dei sentimenti umani. Questa autrice al contrario di Mishima che ha scelto il suicidio, si è ritirata come monaca buddista..incredibile se si pensa il tipo di vita che ha condotto (“La virtù femminile” è un’opera quasi autobiografica).
Tempo fa ho provato anche a studiare l’alfabeto giapponese, ma mi sono fermata solo ai primi due (hiragana e katakana) che servono per tradurre i kanji: scrittura affascinante,ma se non si ha l’opportunità di vederla e usarla la si scorda molto facilmente.
Ho letto nella sezione viaggi che il 26 dicembre partirai per il Giappone: non vedo l’ora di seguire il tuo resoconto (spero che aggiornerai frequentemente!).
Ritornando al discorso principale sul fatto di percepire o meno pesante il Giappone (scusate le digressioni, ma era più forte di me)
penso che da stranieri si possa vivere in questo paese senza sentire per forza questo peso: semplicemente perchè da una parte ce lo perdonerebbero i giapponesi, considerandoci turisti (infatti anche nel libro della Pastore si può leggere in più passi che viene considerata inadeguata nel comprendere le loro usanze o addirittura incapace di parlare la loro lingua anche se la parla corretamente) e dall’altra, almeno personalmente, troverei ridicolo e impossibile cambiare convinzioni radicate fin dalla nascita e se mi trovassi lì mi soffierei il naso ogniqualvolta ne avessi bisogno, contando sulla loro discrezione: farebbero finta di non vedere?
Cara Chiara, hai letto molti più autori giapponesi di me, che li sto avvicinando soprattutto adesso. Su Murakami concordo, meraviglioso, e anche tradotto benissimo. Cosa che invece non penso della Yoshimoto: secondo me è tradotta in modo un po’ scarno… Comunque ho preso nota anche di altre tue indicazioni. Da tempo il Giappone “chiamava”, amici che ci sono stati, libri che mi attraversavano la strada… Cercherò di raccontare il più possibile in diretta! Se ti va, recensisci qui i libri che hai letto: so che mi farai venire voglia di leggerli a mia volta!
[…] ma ovviamente il racconto è privo dei riferimenti al nostro moralismo cattolico. Anche Antonietta Pastore conferma l’intuizione che la forma giapponese serva a mantener viva la sostanza. E forse […]
[…] come spesso da noi: diventa semplicemente un “nonsense”. E qui mi viene in mente Antonietta Pastore in Leggero il passo sui tatami: il Giappone ti insegna che il buon senso è un concetto relativo. Il senso stesso di ciò che […]