dov’è il confine tra bene e male?
(Mohsin Hamid Il fondamentalista riluttante)
Scritto da: Roberta Diliddo
Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante (Einaudi, € 9,00). Stati Uniti d’America. Un posto dove tutto è possibile. Una terra che non nega a nessuno una possibilità. È in questa terra che Changez, un ragazzo nato a Lahore, in Pakistan, figlio di una famiglia borghese, decide di cominciare la sua vita da adulto. Frequenta il college di Princeton dove si laurea summa cum laude e comincia la sua carriera nel mondo della finanza. Una carriera da vertigini. Nel giro di poco si trova ad essere la punta di diamante di una piccola quanto rinomata società di consulenza finanziaria. Jim, il suo capo, lo apprezza e riconosce in lui uno “squalo”. Una persona attenta, concentrata sempre pronta. Si sente forte, a volte ha qualche dubbio pensando alle conseguenze del suo lavoro, ma lui deve concentrarsi sull’aspetto finanziario, quello umano non è di sua competenza. Questo gli hanno insegnato nel corso di formazione dello studio. La sua vita sta prendendo forma e gli piace. Il lavoro gli permette una vita agiata, un appartamento a Manhattan, feste esclusive e gente interessante e ricca, molto ricca. La sua famiglia in Pakistan ha qualche difficoltà, ma il suo lavoro gli permette di dare una mano. Tutto perfetto! Un sogno che si avvera: il sogno americano. Ma la felicità è un attimo, arriva l’11 settembre 2001, Ground Zero, la paura e la rabbia del popolo più potente del mondo e tutto va in fumo, tutto crolla. Quale confusione ci può essere nell’animo di un ragazzo di 22 anni che si trova nella terra di mezzo? Tutto questo e molto di più racconta Changez nel suo monologo a un americano in una piazza di Lahore (Pakistan). Una cena all’imbrunire con uno sconosciuto gli dà la possibilità di raccontare… Una prospettiva diversa per vivere quel terribile momento storico. Fa pensare quanto il confine tra bene e male sia confuso. Un libro importante, che parla d’altre vittime innocenti.
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Tags: Einaudi, Il fondamentalista riluttante, Mohsin Hamid
Il titolo, secondo me, svia e non riflette la splendida “universalità” del libro. La storia è appassionante, i personaggi si svelano in progressione, con ritmo incalzante. Il libro è breve, ma in 130 pagine ti fa vivere un mondo esteriore e interiore.
Il mio consiglio è di non leggere i quarti di copertina (ne il commento qui sopra, a dir la verità), perché ogni dettaglio svelato rovinerebbe le piccole sorprese che il libro ti può riservare. Anche il periodo storico in cui la storia si svolge sarebbe da scoprire. Quindi io non aggiungo.
Commento solo dicendo che l’oggetto di questo libro non è il fondamentalismo (come potrebbe indurre a pensare il titolo). A mio parere, l’oggetto del libro è il processo che vede il protagonista spogliarsi delle proprie sovrastrutture (processo sicuramente innescato da un evento traumatico), un percorso verso la verità e il recupero di valori profondi e della propria storia. E’ uno splendido viaggio che mi ha stimolato a riflettere, durante e dopo la lettura.
Ho amato questo libro perché è prima di tutto appassionante, ma anche perché mi ha smosso qualcosa dentro, mi ha aiutato (spero) a diventare migliore. L’autore riesce secondo me in uno dei compiti più difficili: darti una lezione senza salire in cattedra.
Buona lettura!
Sono molto contenta che il libro ti sia piaciuto, sul fatto di non leggere il commento che ho scritto poco male. Non si perdono gran ché! Sono d’accordo quando dici che il messaggio che passa attraverso questa storia è importante e il mio entusiasmo nel raccontare il libro nasce dal fatto che anche a me ha dato molto.
Mi inserisco nel botta e risposta in quanto colpevole di “recensione plurima e aggravata”: ogni volta che parlo di un libro svelo la trama, a volte più di quanto faccia una quarta di copertina, e a volte, lo confesso, mi sento anche un po’ in colpa.
Però.
Come si può evitare il paradosso di voler parlare di qualcosa spremendone la ragione per cui vale la pena leggerlo senza parlare della cosa stessa? Io credo che dare contorni al contesto e accennare allo sviluppo della trama resti non semplicemente inevitabile ma necessario. Aggiungo, però, che spesso con le quarte di copertina mi capita di non trovarmi d’accordo: a volte tratteggiano il libro attribuendogli un senso diverso da quello che io gli avevo dato. Qualche volta le rileggo a metà del libro, per confrontare le mie sensazioni con quelle preannunciate dal risvolto. E quando temo che mi influenzi non lo leggo che dopo aver finito il libro.
Forse anche le recensioni andrebbero lette dopo. Per confrontarsi su ciò che un libro ci ha lasciato.
Nel caso del “Fondamentalista riluttante” sono d’accordo con Jacopo: è un viaggio verso la verità e verso i sedimenti profondi lasciati dalla propria storia. Per me è stato anche un magistrale racconto di un ossimoro, annunciato già nel titolo. Spesso viviamo coazioni a fare (o commettere) qualcosa da cui non sappiamo sottrarci perché siamo in qualche modo “forgiati” per farla, ma una parte più vigile di noi vorrebbe che non fosse così…