il caso Laetitia Perrais e l’impossibile fuga da un’infanzia sbagliata
(Ivan Yablonka Laetitia o la fine degli uomini)

2 giugno 2019

Ivan Yablonka

Scritto da: Francesca Magni

Ivan Yablonka, Laetitia o la fine degli uomini (Einaudi 2018).

Ho trascorso l’ultima settimana ‘posseduta’ da questo libro, una ricostruzione alla Carrère (i francesi meglio di chiunque altro hanno fatto proprio il genere coniato da Truman Capote) di un fatto di cronaca che risale a gennaio 2011. Francia, regione di Nantes, Laetitia Perrais, 19 anni, viene uccisa da Tony Meilhon, 37, smembrata in sei pezzi e buttata in due laghi della zona. Il caso fa scalpore anche perché strumentalizzato dal presidente Sarkozy, che lo usa per un giro di vite sulle pene soprattutto per i crimini sessuali – e ciò che ne nasce (un po’ di vento sul fuoco populista) è tremendamente simile a certe storie di casa nostra.
Ma se questo libro mi ha posseduta è perché niente che avessi letto finora aveva mai compilato con tanta esattezza un catalogo delle metamorfosi da vittima a carnefice, o da vittima a vittima perenne. Qualcuno di noi può dirsi veramente alieno da questo meccanismo? Perciò la morte della deliziosa Laetitia Perrais, o meglio, la sua vita, generosamente ricostruita da Yablonka mi ha riconficcata nel mio passato e nel mio presente, con una domanda su tutte: cosa occorre per scampare al destino di un’infanzia sbagliata?

Laetitia e la gemella Jessica nascono il 4 maggio 1992 da genitori inadeguati. Il padre picchia la madre, la costringe a rapporti indesiderati, la tortura tagliuzzandola; la madre non sa tirarsi fuori da questo legame perverso se non sprofondando in se stessa e nella depressione. Quando arrivano le gemelle tutto si complica fino a rendere necessario, compiuti i 9 anni, trasferirle prima in una comunità e poi, all’inizio della pubertà, in una famiglia affidataria.
Tony Meilhon è nato nel 1974, ha tre fratelli di cui il primo è figlio dello stupro di suo nonno sulla madre; anche Tony finisce, bambino ancora piccolo, in comunità e ha una storia di continui abbandoni; diventa un adolescente violento, la madre non lo rivuole in casa, Tony percorre tutto il climax del crimine, furti, spaccio, rapine, entra ed esce dal carcere, beve, si droga, vive di espedienti in una roulotte sul terreno di un cugino.

Laetitia e Jessica, nonostante la sfortuna con cui sono arrivate al mondo, nonostante non abbiano sviluppato grandi abilità introspettive e culturalmente siano rallentate da difficoltà di apprendimento (Laetitia ha una disortografia gravissima per la quale nutro una profonda tenerezza), frequentano con profitto una scuola professionale e iniziano a fare alternanza scuola-lavoro. È proprio uscendo una sera dall’hotel in cui serve ai tavoli che Laetitia incontra il suo futuro assassino.

Jessica è da sempre la più forte delle gemelle e nell’ultimo periodo inizia a prendere strade diverse dalla sorella: mentre Laetitia ha i primi fidanzati, Jessica frequenta delle ragazze, Laetitia si trucca, Jessica assume uno stile mascolino; Laetitia inizia a trovare una sua dimensione professionale ma intanto scrive lettere in cui dice di volersi suicidare (resteranno lì, mistero insoluto dopo la sua morte), Jessica vorrebbe che la famiglia affidataria la adottasse. Ed è qui che il catalogo si apre all’ennesimo assioma dei bambini-vittima: morta Laetitia, si scoprirà che il padre affidatario abusava sessualmente di Jessica. Abusava anche di Laetitia? I giudici non avranno la possibilità di rispondere a questa domanda, e le lettere di addio scritte da Laetitia prima di essere uccisa resteranno lì a corroborare il dubbio.

Tutto questo si può ricostruire con una ricerca su Google, sul caso sarà girato un film, Jessica Perrais, la sorella di Laetitia, ha un profilo visibile su Facebook. Dunque non vi ho detto nulla di che. Ma il punto è: perché questo libro mi ha ‘posseduta’?

Perché Laetitia e Jessica sono tutte le bambine e i bambini a cui un’infanzia di incuria o di violenza ha disinnescato il meccanismo di difesa indispensabile per poter dire, da grandi, Questo non puoi farlo, Questo non lo merito, Ho diritto di.

Perché Tony Meilhon è l’ennesima prova che chi muore colpevole quasi sempre è nato vittima.

Perché le donne del libro sono tutte vittime degli uomini (la madre delle gemelle come la madre dell’assassino, e anche la madre affidataria, moglie dell’uomo irreprensibile rivelatosi poi abusatore di ragazzine, che lo ha difeso accusando Jessica di averlo sedotto).

Perché Yablonka è il primo uomo a cui sento toccare il tema della quotidiana, silenziosa, sopraffazione degli uomini sulle donne. Un tema di cui parlano solo le cronache, quando è tardi e non serve a nulla.

Perché Yablonka dovrebbe essere pagato per ridare la vita, con la sua ricostruzione dei fatti, a tutte le Laetitia del mondo.

Perché una domanda mi tormenta: qual è il punto in cui un bambino vittima di una famiglia deficitaria o violenta si trasforma da piccolo commiserato dalla società a colpevole per cui non si nutre più alcuna pena?
Meilhon è corso in bocca al suo destino. Certo, non è facile avere pietà di un drogato assassino che fa a pezzi la sua vittima e la cala dentro a due laghi, rifiutandosi di aiutare a ritrovarla anche dopo che è stato incriminato. Eppure è lì che dovremmo provare pietà: di lui e di noi, che non sappiamo mettere in salvo i bambini-vittima e li consegniamo al destino di adulti-carnefici, per poi odiarli.

Perché queste storie ci interrogano sull’adolescenza, il momento in cui, come la crisalide diventa farfalla e il girino rana, il bambino-vittima si trasforma in adulto pericoloso, oppure si salva. Cosa gli permette di salvarsi? Quale germe della sopravvivenza aiuta qualcuno a deviare da un destino segnato? E ci si può veramente salvare fino in fondo?
Ecco, questo proprio non lo so. E su questo mi arrovello, per il mondo e per me stessa. Sta qui il punto di questo libro che mi possiede da giorni.

Chiudo con una preghiera laica per Laetitia, per sua sorella Jessica, per i loro genitori, per quel padre affidatario abusatore di ragazzine, per Tony Meilhon che non si pentirà più perché ormai è troppo tardi.

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