bulli e tutor

5 ottobre 2012

Dopo quattro anni di suppliche per tirarlo giù dal letto, ora me lo ritrovo in camera prima che suoni la sveglia: «Muovetevi, che devo arrivare in anticipo!». Filippo è in quinta elementare. Nella sua scuola ogni ragazzino dell’ultimo anno diventa “tutor” di un piccolino di prima. Lo aspetta davanti al portone, lo accompagna in classe, lo fa giocare nell’intervallo in cortile. È una di quelle trovate semplici che innescano circoli virtuosi grandi, come un colpetto alla prima tessera di un domino che le fa cadere tutte.

Qui, a cadere, sono gli istinti peggiori, quello a fare i bulli, a esercitare il potere nella sua forma più insulsa. L’ho visto in questi giorni: Filippo e i suoi compagni, anche i più scatenati, si sono trasformati in babysitter premurosi. E, cosa più sorprendente, vanno pazzi per questo incarico che li fa sentire forti per elezione, anziché per prepotenza; che li costringe a prendersi cura di un piccolo e, attraverso di lui, della parte fragile di se stessi. Così la debolezza che si portano dentro con vergogna non ha più bisogno di travestirsi da forza: può essere accolta e “sciolta” nell’accudimento del bimbo più piccolo. È uno psico-incantesimo semplice e potentissimo.

I bambini di prima ripagano i loro tutor con sguardi adoranti, tentano emulazioni, si intimidiscono facendo sentire i grandi ancora più grandi. Ecco fatto. Un minuscolo patto tra generazioni. Un microlaboratorio di ciò che potrebbe accadere in molti ambiti della vita sociale, nella scuola, nel lavoro e in tutte le situazioni che prevedano una gerarchia: i vecchi accolgono, trasmettono conoscenza e poi vengono ricambiati dai giovani, grati di avere imparato con una guida sapiente e rispettosa.

Ricordo la prima volta che sono entrata nella redazione di un giornale: «Segna i crediti e manda via il colore» mi ha detto il caporedattore con il piacere stupido di chi si crede superiore perché sa qualcosa che l’altro non può sapere; un redattore gentile mi ha soccorsa, dovevo prendere nota degli autori delle foto e inviare le immagini in tipografia.

Ricordo anche quando ero in quinta elementare. Con la mia amica del cuore avevamo preso di mira un bambino di prima, lo aspettavamo fuori dalla scuola per prenderlo in giro e impaurirlo. Me ne vergogno ancora oggi. Eppure so bene il brivido che provavamo a vedere i suoi occhi spaventati, la sua voglia di fuggire, di chiamare la mamma. Sfogavamo con la prepotenza un naturale bisogno di dominio. Nessuno ci aveva offerto un modo più intelligente di farlo. Erano le prime rozze prove di un gioco di potere nel quale in famiglia ci trovavamo, per età, dal lato debole: volevamo sperimentare il lato forte.

«È come nella catena alimentare», dice Filippo, accanito amante del regno animale: «si lotta per stare sopra, ma non è garantito di starci per sempre». Un giorno, tornando dalla lezione di scherma, mi ha spiegato che ogni tanto duellano fra ragazzi di età diverse: «Io sono piccolo e molti grandi mi sfidano perché sanno di vincere. Ma siccome sto a metà della catena alimentare della scherma, mi nutro di quelli meno bravi di me».

Ha degli istruttori intelligenti, sanno far girare la catena, sanno che questo è il segreto della pacifica convivenza fra grandi e piccoli, vecchi e giovani. Lo sanno anche gli straordinari maestri della sua scuola: se vuoi sbriciolare un bullo, rendilo tutor.

Scritto da: Francesca Magni

[Pubblicato su DM n. 42/2012]

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