Philip Roth Pastorale americana
Scritto da: Peppe
Philip Roth Pastorale americana (Einaudi, 2005, traduzione di Vincenzo Mantovani, € 14,00, pp. 460). Devo recuperare le parole giuste per descrivere Pastorale americana di Philip Roth. Questo libro ha risucchiato in sé tutte le parole del mondo, tutti i concetti della terra. Americana? Non solo, poiché il tema centrale del libro mi pare che sia lo stare al mondo al meglio delle proprie possibilità, rimanendo dentro l’enorme bolla della storia. Illusioni e strategie conservative che si fanno spazio nell’arco di una vita. Generazioni che si tuffano dentro i cambiamenti imprevedibili, lottando sul ring dei valori e del progresso. I temi, durante la lettura, sembrano restare un po’ marginali, poiché la scena è tenuta in piedi efficacemente da un personaggio davvero azzeccato: lo svedese. In sé quest’uomo riesce a contenere il bene e il male di uno spaccato storico americano, occidentale, che non scivola mai nelle paludi del luogo comune, ma, anzi, dimensiona i sentimenti di un’epoca all’interno del proprio autentico percorso esistenziale; questo avviene anche nel rapporto tra questi uomini e donne del romanzo, all’interno della loro società capitatagli in sorte. E poi c’è l’inganno: quello che si auto-procura lo svedese e quello che producono gli altri intorno a lui. In fondo un universo americano che lotta per affermare i propri valori nonostante tutto: il Vietnam, il consumismo, le diseguaglianze. La visione delle cose che traspare dall’agire dello svedese è progressista, nella sua forma più tragica al cospetto della realtà. Il dinamismo sociale che s’intravede si trova nella fotografia, oramai seppia di ricordo, del self-made man che tanto appassiona gli economisti. Ma non basta. Ci sono anche gli impulsi distruttivi di una figlia che minano alle viscere il passaggio (classico) generazionale. Si è corso troppo dal dopoguerra agli anni Sessanta? Boh, e chi se ne importa… quello che questo libro fa è aprire il cuore e la testa in parti uguali, per poi mescolare il tutto in salsa americana. Nel libro nessuna supremazia estetica o stilistica, né tantomeno ideologica; nel raccontare l’autore scompare subito, anche dopo l’alter ego dello scrittore del libro: lascia che il racconto deflagri dentro le nostre giornate al mare o in città. Infatti, durante la lettura, scordavo il nome e il profilo dei miei guai, e me ne restavo al tavolino in compagnia dello svedese tutto il tempo a sentire il suo racconto in silenzio; nessuno sforzo per un aspirante logorroico come me, poiché è stato piacevole dedicargli tempo per arrivare quasi ad annullarsi in questa storia intensa.
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Tags: Einaudi, Pastorale americana, Philip Roth
Adoro Philip Roth. L’ho scoperto da poco ed infatti ho iniziato a leggere gli ultimi romanzi: Indignazione poi L’umiliazione, attendo di iniziare Nemesi e sono sempre stata incuriosita da Pastorale Americana che è ritenuto un po’ il suo capolavoro… perciò ti ringrazio per questo post che mi ha trasmesso fortissima la voglia di tuffarmi subito nella lettura e nella scoperta dello svedese!
bene, mi fa piacere che il mio post ti abbia fatto crescere la voglia di scoprire lo svedese…fammi sapere della lettura.
ciao
peppe
[…] di Sam Green e Bill Siegel, evocata da Philip Roth in uno dei personaggi più tragici del suo Pastorale americana (1997) e romanzata dal cinema in Vivere in fuga (1988) di Sidney Lumet. Ritorna ora sul grande […]