il lato oscuro della paternità
(Amélie Nothomb Uccidere il padre)

16 marzo 2012

Amélie Nothomb, Uccidere il padre (Voland € 9,00, pp. 91). Amélie Nothomb è una grandiosa raccontatrice di storie. Sono rari i raccontatori di storie, e storie originali come le sue. Una ogni anno dal 1992, questa è la ventesima. Piccoli romanzi di una storia sola, fortissima. Già questo, in un panorama di trame (italiane) per la maggior parte noiose, basterebbe a renderla una grande scrittrice. Ma non è tutto. Amélie Nothomb usa le storie come il cilindro di un mago e attraverso una scrittura semplice (mai un aggettivo di troppo, ma una frase superflua) ne estrae un fazzoletto che alla fine diventa una colomba. La metafora, lo ammetto, non è casuale. Questo suo ultimo romanzo, peculiare fin dal titolo, racconta di Joe Whip, quindicenne con la passione per la magia e le mani abilissime, buttato fuori di casa da una madre dalla vita sentimentale disordinata; Joe diventa allievo di Norman Terrence, il più grande mago di Reno, in Nevada (una di quelle città della provincia americana tagliate da una strada nel deserto, fra case di cemento squadrato, insegne luminose di Burger King, qualche casinò e un enorme neon che dice “Reno the biggest little city in the world”; ci sono passata anni fa, è per questo che lo so).

Norman lo prende a vivere con lui e con la giovane moglie Christina, talentuosa “fire dancer”,  ballerina che duetta col fuoco. Una adozione tacita in cui Norman e Christina profondono una carica spontanea di amore per nulla scontato e del tutto gratuito. Per i tre quarti del libro Joe sembra comportarsi come un qualunque adolescente adottato: provocatorio, sfrontato, ingrato. Finché, a Norman che lo cerca e non si arrende a che il legame resti spezzato, Joe racconta la propria verità. Una verità che non semplicemente spiazza il lettore (la Nothomb è maestra di colpi di scena), ma che trasfigura l’intera vicenda letta fin qui, e la trasforma in qualcosa di addirittura archetipico. Il fazzoletto diventa una colomba.

Non stiamo più leggendo semplicemente una storia originale, ma un mito fondativo della natura stessa della paternità: una forma di attaccamento che, a differenza della maternità, presuppone sempre, anche quando è biologica, una adozione. Una scelta. Io ti riconosco come mio figlio. Io ti riconosco come mio padre. C’è una misura di volontarietà nell’amore paterno, e nel suo viceversa, cioè l’amore filiale verso il padre, che lo rende tutt’altro che congenito. Nella vicenda del romanzo questa volontà diventa ostinazione e mostra quanto scegliere/essere scelto fondino la paternità fino a possibili esiti paradossali. Raccontando proprio questi, la Nothomb illumina il lato oscuro e solitamente poco indagato di ogni paternità, anche la più riuscita.

Scritto da: Francesca Magni

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(Amélie Nothomb Uccidere il padre)”


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