morsi strappati alla vita
(James Joyce Gente di Dublino)

17 agosto 2011

Scritto da: Bianca Rita Cataldi

James Joyce, Gente di Dublino (Newton Compton). Sin dalla prima pagina, ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di grandioso, dietro le parole. Adesso prescindiamo dallo stile: lo sanno tutti che Joyce scrive in un modo allucinante, non è necessario che ve lo venga a dire io. Tuttavia, c’è qualcos’altro, dietro. Ho impiegato un po’ di tempo per capirlo, ma alla terza short story ci sono arrivata. Si tratta della decontestualizzazione. I racconti che compongono il libro sono dei veri e propri morsi strappati alla vita di tutti i giorni in una Dublino grigiastra e malinconica. Bidimensionale, quasi. Leggere una di queste storie è come sbirciare dal buco della serratura e spiare una scena ben precisa della quale nessuno ti spiega nulla: puoi fare affidamento soltanto sulle tue sensazioni, sulle parole che riesci a cogliere un po’ per caso, sugli odori che, appiattiti contro il pavimento, oltrepassano la soglia e giungono a te. Questo è Joyce. Sensazioni, pensieri, brandelli di coscienza che affiorano senza seguire uno schema ben preciso. Parole che si rincorrono. Joyce sta alla banalità come la neve sta all’estate. Ed è proprio la neve a chiudere il libro, mentre Gabriel Conroy – ultimo, grandioso personaggio – guarda i fiocchi danzare dietro i vetri della finestra. Neve che ricopre Dublino, purificando o forse solo nascondendo tutto ciò che di sbagliato vi è in essa. Neve sui tetti delle case, per le strade, sulla punta di dieci cento mille campanili che si stagliano contro il cielo biancolatte. E poi il silenzio. Questo silenzio assurdo che riempie ogni pagina del libro. Silenzio che permane dietro il caos asfissiante dei pub, dietro le feste chiassose e i virtuosismi di Miss Kearney e poi di Mary Jane al pianoforte. Silenzio sulle labbra tremanti di Mrs Conroy mentre ascolta quella vecchia canzone e ricorda lui, lui che non c’è, lui che è morto per lei in un passato remoto e mai obliato. E silenzio mentre chiudo il libro con un colpo secco e penso che non sarò più la stessa dopo questi racconti. Resta qui, sottopelle, quel silenzio gelido. Resta qui, teso e pericoloso come un elastico, il desiderio di fuggire di Mr Conroy e di tutti coloro dei quali ho già dimenticato i nomi. Resta qui. Come in un incubo dal quale ti risvegli con la bocca secca e con la sensazione di non esserti mai addormentata.

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