amare è volere o essere voluti?

28 luglio 2011

Durante un viaggio di lavoro, un famoso scrittore con un matrimonio stanco e una figlia di otto anni incontra una hostess e si innamora. Inizia a frequentarla di nascosto, finché la moglie non li scopre. Pazza di gelosia, la moglie si dibatte fra il tentativo di riprendersi il marito e il desiderio di assecondare l’orgoglio ferito: prevale il secondo, e alla fine lei lo caccia di casa. Lo scrittore mollato va dall’amante la quale, con invidiabile lucidità, capisce che lui non ha propriamente scelto lei ma è stato piantato, e capisce pure che ora, persa la sicurezza del matrimonio, lui la vede con occhi meno incantati; e a sua volta lo lascia. Seduto al solito tavolo del ristorante di cui è un habitué, lo scrittore telefona alla moglie: ha fretta di parlarle, di ricucire con lei. Risponde la babysitter: la signora è uscita; prova a cercarla sulle scale, dice lui, ma sulle scale la moglie non c’è; guarda dalla finestra se riesci a chiamarla, dice lui, ma la moglie è già in auto e ha svoltato l’angolo. Poco dopo la moglie arriva al ristorante dove sa di trovare il marito, tira fuori un fucile dall’impermeabile e gli spara.

Ho visto questo film in tv (Una calda amante, di François Truffaut) un mese fa e da allora continuo a pensarci. Come è possibile che Truffaut sia stato per l’intera pellicola perfetto rabdomante delle emozioni minime di entrambe le protagoniste, e che poi chiuda in quel modo? Vi sembra realistico un finale del genere? A me no.

Per quanto possa odiarlo, una donna non ucciderebbe mai l’uomo che l’ha tradita (e infatti non capita): perché lui continua a essere ciò che lei vuole. A parti invertite, invece, la cosa cambia; un uomo tradito può uccidere la moglie (e infatti capita): perché lei non lo ha voluto. La passione, nei due sessi, prende la forma attiva o passiva dello stesso verbo: le donne vogliono, gli uomini vogliono essere voluti.

È una rivelazione che mi colpisce come lo sparo improbabile nel finale del film, e la teoria, che qui distillo e massimizzo come è necessario per varare ogni teoria, supera tutte le verifiche.

Comprese le peggiori: ci sono crimini maschili che qui trovano una molla imprescindibile. Gli uomini stuprano perché rifiutano persino l’ipotesi di confrontarsi con il non essere voluti; gli uomini di potere stuprano o comprano l’essere voluti dalle donne come doveroso suggello della loro riconosciuta posizione di forza. Mentre gli uomini più fragili e vigliacchi seducono con astuzia chi è troppo piccolo per cogliere l’inganno, ottenendo con la pedofilia la loro perversa dose di essere voluti. E poi c’è il narcisismo, tipica nevrosi maschile, apoteosi patologica del voler essere voluti. E ancora. Un uomo conteso fra due donne sceglie sempre quella che lo vuole di più o che ha motivi più forti per volerlo, i figli, un patrimonio in comune, un’attività condivisa, quella che è in grado, per suo attivo volere o semplicemente per posizione, di farlo sentire più indispensabile. Per anni nella posta del cuore del giornale in cui lavoro ho letto di amanti abbandonate e incredule che continuano a dirsi “ma lui ama me, non la moglie!”: pensavo si illudessero, e invece probabilmente è la verità, però non basta. Il volere, per gli uomini, non discende se non parzialmente dal sentire, e il sentire non è spinta sufficiente per l’agire; sentirsi per loro è più importante.

O no?

Scritto da: Francesca Magni

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1 commento a “amare è volere o essere voluti?”


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