Margaret Mazzantini Nessuno si salva da solo: l’epica del privato (piccolo piccolo)

1 aprile 2011
Tempo di lettura: 3 minuti

Il primo libro che ho letto di Margaret Mazzantini si intitolava Il catino di zinco, era il 1994 e non ne ricordo la trama. So solo di averlo archiviato tra i libri perdita di tempo. Una sola frase mi era rimasta in testa come una nota steccata, come l’unghia che graffia la lavagna. “Odore di fica vecchia”, detto nel mezzo di un tè fra signore in età. Non avevo un riferimento, nella mia immaginazione, che potesse accendersi e corrispondere all’allocuzione “odore di fica vecchia”, e il romanzo non aiutava a integrare quella dissonanza: all’epoca Margaret Mazzantini non scriveva ancora spruzzando artatamente sprezzo, acido e turpiloquio, a proprio vanto di scrittrice un po’ verista o un po’ maledetta: quell’espressione bucava il foglio. Il catino di zinco mi era sembrato un romanzo insulso. Eppure mi aveva lasciato un segno: di perplessità, ma indelebile.
Non ho più letto nulla della Mazzantini fino a questo ultimo Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00), che deve avermi presa per curiosità – 17 anni dopo “odore di fica vecchia”, una scrittrice con quattro figli, un marito attore famoso, una conventicola di amici potenti che la porta dappertutto, un piglio capriccioso da diva, un romanzo finito in film, una donna così, cosa scrive oggi? Nessuno si salva da solo si legge in fretta, qualcosa si può saltare, lo schema è semplice: Gaetano detto Gae e Delia hanno trent’anni (a dispetto dei loro nomi, caduti in disuso già prima del tempo in cui presumibilmente sono nati – ma non è facile scegliere i nomi giusti, in un romanzo), sono a cena in un ristorante: tutto il romanzo si svolge in quella parentesi graffa di tempo, il tempo di una cena, che accoglie fra parentesi quadre il tempo presente della loro disfatta di coppia separata con due bambini, mentre di loro – i bambini – come di Delia e Gaetano, del loro amore, della loro parabola matrimoniale, conosciamo ogni dettaglio entro parentesi tonde, infanzie comprese, tradimenti inclusi, l’anoressia di lei, la famiglia piccolo borghese cripto violenta di lui. Una espressione algebrico-narrativa, è questo romanzo. Costruito bene, non c’è che dire, 189 pagine ambientate in due ore e piene di due intere vite. Scritto bene, con voce forte, l’odore di fica vecchia scappato fra le righe 17 anni fa si è mutato in un più compiuto gergo di carattere che vuol mescolare alto e basso, turpiloquio e profondità. L’ insieme è coerente e convincente, anche se lontano dalla sublime sozzura della prosa di Rosa Matteucci, maestra imbattuta a mescolare piscio e poesia nella prosa da romanzo.
Il libro della Mazzantini si legge di un fiato e ci si medita: la disfatta di un amore, quello sfaldarsi di ogni cosa di cui non si ha chiaro sentore se non quando è tardi, e chissà quale è stato il momento in cui Gaetano e Delia si sono davvero lasciati; molte sfumature del rapporto materno e paterno con i figli, gli errori cruciali, delle coppie, le incurie reciproche, la tentazione del tradimento come chimera di nuova vita. C’è più o meno tutto. Eppure il romanzo, secondo me, non vola. Resta a terra come una gallina che raccoglie chicchi ma non può permettersi veri voli: il micromondo di quei due trentenni, che pure somigliano con precisione a innumerevoli coppie di oggi, resta un micromondo chiuso, il racconto non riesce a farsi pradigmatico, non riesce a far entrare dalla finestra lo scorcio di un paesaggio. La vicenda resta lì, individualista e chiusa, non è storia di un’epoca, di un paese, di una società: è storia in un tinello. È assaggio di una generazione che nella terz’ultima pagina viene definita tardivamente e in modo sommario come «la generazione della patacca, del remake. Tutto era stato già provato, si trattava solo di rivisitare, senza un vero nerbo. Cosa c’era di nuovo? Il sushi da asporto, la festa di Halloween, Facebook. Il sogno di tutta la gente che conoscevano era quello di organizzare eventi. Di anelare a una festa continua sulle macerie di tutto. L’egoismo come unica borsa a tracolla».

Penso, leggendo Nessuno si salva da solo, quello che spesso penso dei romanzi italiani di oggi. Affreschi estemporanei, ritratti sempre e solo in un interno. L’epica del privato, ma di un privato piccolo piccolo. L’interno individualista che siamo? L’Italia di monadi egoiste e sole a cui siamo ridotti? E penso con disagio (e con invidia) all’abilità di una Elizabeth Strout, di un David Foster Wallace, di un Andrew Sean Greer, di un Raymond Carver  (per fare  qualche esempio al volo) che in ogni vita, in ogni storia, anche la più minuta, comune e meschina, raccolta nella loro America di provincia, riescono a spalancare finestre da cui vedi un mondo.

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Scritto da: Loredana

Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00). Un realismo schietto e amaro. Spesso anche nel linguaggio. Uno spaccato del nostro tempo e non solo. I protagonisti sono trentenni di oggi insoddisfatti e delusi, talvolta deboli. Ma i veri sconfitti sono i loro genitori, pur comparendo nel romanzo solo superficialmente. Lucrezia ne è testimonianza, i genitori di Delia lo sono. Un mea culpa per i sessantenni che si sono occupati più dei loro ideali che dei propri figli, cresciuti, così, “analfabeti d’affetto”. «Si passeranno accanto bonariamente come carne ripulita dalla tragedia dell’amore» (pag. 179). Crudele considerazione.

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Scritto da: Sofia Andreotti

Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00). «Il pomeriggio Delia vomitava. Non ci pensano proprio a un altro figlio, già con due fanno fatica. Però. È sempre bello tremare per una cosa così. Lui le aveva passato una mano sulla pancia […] Avrebbero dovuto essere disperati, ma la fertilità regalava il vecchio brivido di fulgore. Fare il nido nella propria donna. Anche se dicono che il mondo non andrà da nessuna parte» (pag. 158). Questo libro è racchiuso nella dedica dell’autrice: “Alla rabbia dei puri”. La rabbia degli innocenti, quelli che sono rimasti in balia della vita e adesso si guardano e non si riconoscono, osservano sgomenti le macerie di ciò che è stato. Delia e Gaetano si sono amati, si sono scelti, hanno messo al mondo dei figli. Sono stati parte l’uno dell’altra e nella serata estiva in cui si svolge l’intero corso della storia si guardano dalla parte opposta del tavolo come gli estranei. «Come fa la vita a mangiarsi tutto?». Gaetano se lo chiede guardando negli occhi Delia e quante volte ce lo siamo chieste noi? Come fa la vita a travolgerci così, senza lasciarci margine di scelta? Noi, puri indifesi a cui resta solo la rabbia dell’impotenza. «Queste sono cose che capisci una vita dopo, quando sei stata anoressica e sei guarita, quando gliel’hai fatta pagare a casaccio (ai genitori che si sono separati) e sei quasi morta per vendicarti di quell’abbandono […] sono pensieri che non vuoi passare ai tuoi figli. Hai paura che loro ricorderanno solo la fine, le liti».

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Scritto da: Sabrina Spadaccini

Questa volta l’autrice cade nella retorica, nella banalità,nei luoghi comuni dell’amore e delle relazioni di coppia. Nel libro manca quel pathos, quel mordente che la caratterizza….Troppe parolacce, troppe “canne” e situazioni quasi borderline. La psicologia dei personaggi è sempre curata e attenta, la scrittura fluida e veloce, ma non ci sono sorprese, evoluzioni, dinamismi: tutto è già visto e previsto. Peccato, dopo il capolavoro Venuto al mondo ci si aspettava qualcosa di più….

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17 commenti a “Margaret Mazzantini Nessuno si salva da solo: l’epica del privato (piccolo piccolo)”


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