Niccolò Ammaniti Io e te

14 dicembre 2010
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Niccolò Ammaniti, Io e te (Einaudi, 2010, pp.116, € 10,00). Lorenzo finge di partire per la montagna con amici di scuola. Ha mentito, non l’hanno invitato. Si chiude in cantina, ha pianificato una settimana di libertà dalle relazioni – faticose, inceppate – con i compagni. Una settimana di libertà dal mondo e da se stesso, in un anfratto in cui non sei costretto a essere. Invece finisce per trascorrere i giorni con Olivia, la sorellastra. Lorenzo ha 14 anni, Olivia 23. La ricordava bellissima, ma ora «sembrava che fosse stata masticata e sputata via da un mostro che l’avesse trovata amara». Olivia si droga. Olivia è sola. Anche Lorenzo è solo, è sempre stato un bambino difficile, poco incline alle relazioni, è stato in cura da uno psicologo, e lo psicologo ha parlato di disturbo narcisistico, di sé grandioso… Ammaniti ha ripreso la penna felice di Io non ho paura e ha tirato fuori da un centinaio di pagine il ritratto di un adolescente (e dell’adolescenza), e di una ragazza sola (e della solitudine); sullo sfondo, gli errori dei genitori (e di tutti i genitori).

Io e te ha tutte le parole che deve avere, non una di meno o una di troppo. A pagina 31 in poche righe risponde all’ottusa domanda degli adulti: perché gli adolescenti si vestono tutti uguali? «Da qualche parte, ai tropici vive una mosca che imita le vespe. Ha quattro ali come tutte quelle della sua specie, ma le tiene una sull’altra, così sembrano due. Ha l’addome a strisce gialle e nere, le antenne e gli occhi sporgenti e ha anche un pungiglione finto. Non fa niente, è buona. Ma, vestita come una vespa, gli uccelli, le lucertole, persino gli uomini la temono. Può entrare tranquilla nei vespai, uno dei luoghi più pericolosi e vigilari del mondo, e nessuno a riconosce. Avevo sbagliato tutto. Ecco cosa dovevo fare. Imitare i più pericolosi. Mi sono messo le stesse cose che mettevano gli altri. Le scarpe da ginnastica Adidas, i jeans con i buchi, la felpa nera con il cappuccio […]. Camminavo come loro. A gambe larghe. Buttavo lo zaino a terra e lo prendevo a calci».

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