Edith Warton L’età dell’innocenza
Scritto da: Maddalena Ramolini
Edith Wharton, L’età dell’innocenza (Bur, 2008, € 8,90). Non è facile per me scrivere una recensione su questo meraviglioso libro, poiché si tratta del mio preferito in assoluto. Come accade ogni volta, quando si vuole parlare di qualcuno o qualcosa che abbiamo amato fino allo sfinimento, c’è sempre quella sensazione insidiosa di sminuirlo attraverso le parole, di non riuscire a rendere concrete tutte le emozioni che ci ha dato, di renderlo diverso o peggio ancora ordinario. Correrò il rischio – sperando di riuscire a descriverlo come merita.
Capolavoro riconosciuto da tutti, scritto nel 1920, con questo romanzo Edith Wharton vinse il premio Pulitzer – la prima donna della storia ad averlo conseguito. Meritatissimo, aggiungerei. L’edizione Bur che possiedo lo descrive come “un romanzo in cui New York è più necropoli che metropoli e l’amore è soprattutto rimpianto” – parole splendide e azzeccate, ma dietro c’è molto di più.
La prima volta in cui l’ho letto mi è venuta la febbre – e non per modo di dire. Mi aveva preso talmente tanto, avvinto nella sua storia così lineare ma allo stesso tempo così complessa, da non riuscire più a staccarmene – non solo con gli occhi, ma anche con il pensiero. Ogni riga diceva qualcosa di me, di quella che ero, mi mostrava per la prima volta il mondo visto con gli occhi di qualcuno che lo percepiva come me – e mi sentivo subito meno sola.
L’età dell’innocenza racconta di una intera società in decadenza, che annega i suoi ultimi giorni nell’ipocrisia e nell’etichetta sempre più soffocante. Parla di un amore bruciante e impossibile che rimane tale più per volontà che per mancanza di possibilità. Descrive uno dei personaggi femminili più belli di tutta la letteratura: la contessa Ellen Olenska, coraggiosa, libera di essere se stessa, unica, indimenticabile. Ma – più di tutto – riesce a dipanare alla perfezione lo stato d’animo malinconico e struggente di chi vive sempre in un altrove irraggiungibile e incomprensibile ai più, soffrendo e lentamente morendo di malinconia per qualcosa che non ha mai veramente conosciuto.
Newland Archer, il protagonista, si innamora profondamente di Ellen, ma il contatto più intimo che avrà mai con lei sarà quello di tenerle la mano per pochi minuti, in fretta. Si scopre affascinato dalla sua libertà e spregiudicatezza e la difende ogni qual volta le zie e la società tutta la criticano, ma lui stesso non esita a disapprovare certi suoi comportamenti e a considerarla eccessiva, quando lo ritiene opportuno. Ne è allo stesso modo e allo stesso tempo attratto e respinto. Ellen Olenska rappresenta tutto quello che vorrebbe e, contemporaneamente, tutto quello che non vorrebbe mai, che gli fa paura proprio perché imprevedibile e ingovernabile. Si tratta di una consapevolezza dolceamara, la sensazione di avere qualcosa – qualsiasi cosa possa essere desiderabile e bella – a portata di mano, e la scelta cosciente di non coglierlo.
La stessa attrazione mista a repulsione Newland la prova anche verso l’innocenza che dà il titolo al libro: vorrebbe affrancarsi da un mondo che non gli corrisponde più, ma non riesce mai a farlo del tutto poiché è tutto ciò che ha e ciò che è, una parte di lui. L’innocenza non è per niente una condizione facile e naturale come può sembrare. Comporta responsabilità, richiede sacrificio. Necessita anche di una buona dose di presunzione, se proprio vogliamo dirla tutta. Ma è anche irrimediabilmente, irresistibilmente attraente, come il canto di una sirena. È un letto di solida roccia – è qualcosa che niente e nessuno potrà toglierti mai, più radicato della dignità, più profondo dell’orgoglio.
La verità è che Newland ama la propria innocenza più di quanto in realtà ami Ellen, e non è disposto a rinunciarvi. Sarebbe come rinunciare a se stesso, recitare una parte, fingere per il resto della vita di essere qualcuno che non si è. Smettere di crederci equivarrebbe a smettere di esistere.
L’idea di fondo che attraversa tutto il libro è che sono le cose che scegliamo (e sottolineo questa parola) di non fare, più di quelle che invece facciamo, che ci costruiscono come persone. Perché nella negazione ci può stare tutto, invece che un niente. Perché osservare immobili, senza essere visti, una persona amata che guarda a sua volta un lago calmo può essere appagante quanto il più sfrenato degli amplessi.
Da leggere, assolutamente.
Post letto 5066 volte
Tags: Bur, Edith Warton, L'età dell'innocenza
Ecco uno dei classici che colpevolmente non ho mai letto. Ed ecco una recensione (non solo intensa e sentita ma anche piena di profondità) che mi convince a leggerlo. Grazie Maddalena!
Ciao Maddalena,
ho letto il libro due volte non perché mi fosse piaciuto particolarmente ma perché mi ero dimenticata, da un anno all’altro, di averlo letto.
Ho trovato splendido il film ed interessante il romanzo ma è lo stile della scrittura della Warthon che non mi convince. Lo trovo freddo, distante e poco coinvolgente. La tormentata storia d’amore mi lascia fredda, Newland lo trovo odioso e noioso (ma cosa vedrà Ellen in lui?).
Memorabile comunque la scena del pranzo finale in onore della contessa Oleska, da sola vale tutto il libro!
Solo un piccolo consiglio: evitate l’edizione BUR se volete leggerlo perché pur avendo un bel saggio introduttivo, è piena di errori di battitura.
Wow, questa recensione è bellissima!! Lo leggerò al più presto!! Grazie Maddalena!!
grazie a voi!
Adele, pensa che mia mamma – a cui avevo stra-consigliato questo libro – ha faticato ad arrivare alla fine proprio perchè non sopportava il personaggio di Newland, le faceva letteralmente venire i nervi 😉
RM
Anche io l’ho letto e sono d’accordo con Adele sul fatto che a volte può risultare un po’ noioso (è pur vero che spesso lo stile narrativo dei “classici” lo è, ampolloso, pesante…); ho apprezzato anche il film con la splendida Michelle Pfeiffer (se non ricordo male) nei panni di Ellen.
Sono d’accordo anche sul consiglio di evitare l’edizione BUR: è davvero pieno di errori di battitura che rovinano il gusto della lettura…
Grazie della recensione, che assolve la sua funzione magica, come il migliore dei passaparola. Per leggere occorre una motivazione, non è solo il nome noto o la storia ,ancor di più. Ora devo leggerlo prima di tutto.
Chi sei Maddalena Ramolini? Hai un romanzo nel cassetto? La tua recensione è bella; non aggiungo altro. Ho terminato da 3 giorni la lettura del romanzo e le atmosfere e i personaggi ancora non mi lasciano, tanto da cercare su un freddo computer delle parole che mi parlino ancora di loro. Mi sono imbattuta per caso su questa recensione, vorrei aver scritto io quelle parole, le avevo quasi tutte nella testa. Sì, mi piacerebbe sapere chi sei….
Avendo visto solo il film, ho un dubbio che mi attanaglia e spero che voi lettrici del libro possiate darmi una risposta. Nella scena finale, quando Newland ha la possibilità di riunirsi con Ellen, ma volgendosi alla sua finestra, cambia idea e se ne va, è perché nonostante la società sia mutata e lui possa vivere alla luce del sole il suo amore con Ellen, è lui ad essere vecchio stampo, ancora legato alle tradizioni e al buoncostume, oppure è perché capisce che in realtà non la amava veramente, ma amava l’idea che aveva di lei, così diversa e vera rispetto alle persone da cui era circondato, ma che realizzare questo sogno d’amore vorrebbe dire abbandonare la decenza e l’innocenza della sua persona, e realizzando l’ambiente dove Ellen viveva, e quindi la vera lei, capisce che erano troppo diversi perché potesse funzionare(dopotutto lui l’aveva conosciuta nel suo ambiente)? Grazie mille a chiunque sia in grado id darmi una risposta decente!