Pronome dimostrativo brosbrigrizvobtrup.
Ovvero: nel cervello di un dislessico
Scritto da: Francesca Magni
Filippo, preferisco non chiederti ogni giorno come va a scuola. Ma se succede qualcosa che è importante che io sappia, facciamo che me lo racconti?
Ok, mami. Stamattina è successa una cosa.
Sentiamo.
Cos’è “questo” in grammatica?
Questo è aggettivo o pronome dimostrativo.
Ecco, la prof di greco mi ha chiesto: “Filippo, dimmi un pronome dimostrativo in italiano”. Io avrei voluto dirle: “Ma lo sa prof che è come se lei mi avesse detto ‘Filippo dimmi un brosbrigrizvobtrup in italiano”.
A questo punto la conversazione si è interrotta perché sono stata presa da un attacco di risa . Se è vero che questo figlio mi ha fatta preoccupare parecchio, è anche vero che come mi ha fatta ridere lui, nessuno al mondo.
Poi, ricomposti gli addominali e asciugate le lacrime, gli ho detto: Filippo, hai perfettamente ragione. E sai cosa dovresti fare, secondo me? Dirlo alla prof. Proprio così, come lo hai detto a me.
Ora per chi non ha dimestichezza con il funzionamento del cervello di un dislessico di fronte alla memorizzazione delle parole, è necessario spiegare che i nomi della grammatica, insieme ai lessici tecnici e specifici delle varie materie, sono le cose più difficili da imparare perché sono etichette che definiscono qualcosa che non si vede. Un’astrazione elevata al quadrato.
Quando in quarta elementare, ancora del tutto cieca rispetto alla neurovarietà di mio figlio, mi ero accorta che sapeva coniugare i verbi alla perfezione ma non sapeva dire che modo e tempo fossero, gli ho chiesto perché non lo imparasse. E lui mi ha risposto: «Mah, io distinguo tra il passato e… be’ l’altro lo chiamo l’arrivato. E poi c’è il domani». Il concetto era chiaro, ma le etichette grammaticali impossibili da appiccicare e trattenere in modo definitivo. E allora mi sono detta: è più importante l’etichetta o il concetto?
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La prof di greco potrebbe obiettare che non è semplice studiare le lingue, a maggior ragione quelle classiche, senza padroneggiare con scioltezza le parti del discorso e i loro nomi… E allora le risponderei che si possono padroneggiare le parti del discorso anche senza sapere il nome proprio di tutte.
Voglio dire: la differenza tra aggettivi e pronomi gli è chiarissima, quindi saprà distinguere quando “questo” è in funzione di aggettivo e quando è in funzione di pronome; ora, siamo proprio sicuri che sia necessario chiamarlo anche dimostrativo? Nella sua testa di dislessico non lo è. Basta dirgli che “questo” si traduce così, quando è aggettivo, e cosà quando è pronome.
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Con quanti brosbrigrizvobtrup possiamo ragionevolmente evitare di bombardare il cervello di un dislessico, senza inficiare il suo apprendimento delle lingue straniere e classiche, e di tutte le materie in genere?
Io credo che la risposta sia: parecchi.
Credo anche che con il tempo certi brosbrigrizvobtrup attecchiranno comunque, quelli più necessari, o quelli delle materie che lui ama di più.
Credo che alleggerirgli la fatica, sfrondare l’inessenziale sia possibile.
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A patto che…
_a patto che ci sintonizziamo su alcuni concetti che i più recenti studi neuroscientifici ora ci spiegano, e dunque abbiamo il dovere di comprendere e contemplare (e ci spiegano che la memorizzazione astratta ai dislessici crea grosse difficoltà);
_a patto che accettiamo di credere che uno non è scemo se certe nozioni le recepisce come brosbrigrizvobtrup;
_e a patto che decidiamo di lavorare per obiettivi.
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Qual è l’obiettivo, nello studio del greco e del latino? Che i ragazzi si approprino dei meccanismi di queste lingue “madri”, fondamenta dell’italiano e che nell’italiano hanno lasciato importante traccia; che sappiano orientarsi quel tanto che basta a cogliere il significato di un testo e, come obiettivo superiore, a estrapolare il senso storico, filosofico, letterario, poetico del testo stesso.
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Io so che Filippo ama tutto quello che è dentro il greco e il latino, quando un professore spiega un’etimologia lui me lo racconta incantato; so che ama la storia e amerà la filosofia e la poesia, so che i pensatori classici sono pane per la sua fame; ma so che dobbiamo potare dall’albero qualche brosbrigrizvobtrup se vogliamo evitare che lui resti intrappolato e non arrivi mai a quella conoscenza superiore che desidera, e che sì, è anche per lui.
Per questo Filippo lotterà e noi lo sosterremo con tutte le nostre energie. Ho solo una paura. Che la prof di greco, ascoltando queste parole, senta… brosbrigrizvobtrup.
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Tags: AID, cervellodislessico, dislessia, nelcervellodiundislessico, storia di una dislessia
Ho letto il libro ad agosto, dietro suggerimento di un’amica insegnante di scuola superiore. Io insegno matematica e fisica al liceo classico e ho studenti con dsa, in particolare dislessia. Mi ha fatto riflettere molto, soprattutto sul fatto di aver capito quanto profonda fosse la mia ignoranza in materia. Visto che tu hai sviscerato molto il problema, ti chiedo suggerimenti su quale tipo di formazione si possa proporre ad un consiglio docenti per affrontare meglio la stesura e applicazione dei pdp; mi spiego meglio, vorrei dei consigli non dal punto di vista burocratico, ma contenutistico e che siano davvero dei piani personalizzati per permettere a tutti un apprendimento efficace. Si possono proporre dei corsi di aggiornamento? oppure proporre conferenze….tu ci verresti a parlare agli insegnanti di un liceo classico?
Grazie,
Paola
Cara Paola, non c’è domanda più gradita: cosa significa elaborare un pdp che non si limii ad assolvere a un dovere burocratico ma che sia efficace, per lo studente e soprattutto per l’insegnante? Sì, perché il pdp serve all’insegnante: per poter valutare cosa e come l’alunno impara davvero, al netto delle interferenze del suo “disturbo” (io preferisco dire caratteristiche peculiari). Mi farebbe infinito piacere potermi confrontare con te. Ti scrivo in privato. Intanto ti dico grazie!
Ciao Francesca, anch’ìo ho letto il tuo libro quest’estate, suggerito da mia moglie.
Abbiamo un figlio, ormai di 16 anni, che è discalculico grave e lievemente dislessico.
Affetto da disturbo del linguaggio fin da piccolo abbiamo scoperto le sue difficoltà di apprendimento durante le scuole elementari..mi sono ritrovato tantissimo nella vs storia sia per il tuo rapporto con Teo che rivedo in molti aspetti in quello di mia moglie con il ns Giacomo.. ma anche per come ha vissoto tuo marito tutta la vs storia (che rivedo molto in me..).
Anch’io in questi anni ho rivisto, nelle difficoltà di mio figlio, le mie stesse difficoltà. E’ stata una sorpresa e nello stesso tempo come una rivelazione :”Ah ecco perchè facevo fatica a leggere e mi vergognavo quando mi chiedevano di farlo ad alta voce davanti a tutta la classe?”oppure :” Ecco perchè certi problemi di matematica, erano così difficili da decifrare?”.
Beh non è stato, e non è un percorso facile per tutti e per Giacomo in primis. Abbiamo dovuto lottare con molti preguidizi ed ignoranza, ma anche contro le ns stesse preoccupazioni e.g. :” ma non stiamo abbassando troppo la richiesta?”.
Ora Giacomo è al secondo anno di Liceo Artistico. Inglese e matematica rimangono le tue materie in cui le sue “peculiarità” di apprendimento emergono maggiormente.
La prof di inglese si è mostrata , dopo un primo anno di difficoltà, disponibile ad individuare possibili didattiche alternative e utilizzare orale vs lo scritto per le valutazioni.
Molto più difficile è risultato il dialogo con il prof di Matematica. Mi chiedevo se hai un consiglio su come possiamo aiutare il prof a prendere consapevolezza delle difficoltà di Giacomo e se ci sono dei consigli /materiale reperibile per suggerire una didattica più idenea alle difficoltà di apprendimento di ns figlio. Abbiamo lavorato sull’adeguatezza delle verifiche , dove spesso venivano chieste definizioni o enunciati, ma credo che, aldi la di questo, si debba lavorare anche sulla didattica per rendere comprensibile a Giacomo almeno quelli che deifineremo insieme essere gli obbiettivi fondamentali del programma. Ad oggi è stato un dialogo “quasi” tra sordi.
Grazie per l’aiuto e per aver condiviso la tua vs storia .. un libro prezioso per tutti noi.
Marco
Caro Marco,
mi fai la domanda delle domande ed è bellissimo il modo in cui la poni: come aiutare il prof a prendere consapevolezza. Non ho una risposta, posso dirti quello che abbiamo fatto noi.
Siamo partiti dalla certificazione: oggi se ne parla per attaccarla, ma lì dentro ci sono indicazioni preziosissime sullo stile di apprendimento del ragazzo; lì dentro si possono individuare i suoi punti di forza, e loro indicheranno le strategie da sperimentare.
Dice, per esempio, qual è il suo indice di velocità esecutiva, cioè – in soldoni, i tecnici non me ne vogliano – la rapidità nel processare le informazioni, dà un’indicazione sulla memoria di lavoro, che permette di tenere a mente dei dati e al tempo stesso di manipolarli… Sono informazioni che non vanno lette singolarmente ma che, messe in relazione fra loro e con altri valori del profilo cognitivo che la certificazione rileva, esprimono il bouquet di caratteristiche che definisce il ‘modo di funzionare’ del ragazzo. Il suo tipo di intelligenza.
A metà della prima liceo classico, di fronte a insegnanti di latino e greco che non riuscivano a capire nostro figlio e non accettavano di sperimentare metodi nuovi, abbiamo, d’accordo con il preside, organizzato un incontro in cui la neuropsichiatra che ha seguito la certificazione ha incontrato tutti i docenti e ha spiegato loro il significato di quei dati, evidenziando i punti di difficoltà e i punti di forza.
La memoria di lavoro sensibilmente più fragile degli altri valori cognitivi ha portato per esempio a chiedere che le consegne venissero frazionate e non poste a incastro, tanto per farti un esempio; si è poi visto che le sue abilità di ragionamento linguistico erano molto buone e che si poteva puntare su quelle…
Mio figlio non è discalculico, quindi questo lavoro specifico non ha riguardato il tema dell’automatizzazione dei calcoli ecc. E non so esattamente quali siano le fatiche di tuo figlio; di sicuro ho capito che nei DSA più che lo specifico lettura/ortografia/calcolo il tema sensibile è la memoria in tutte le sue forme: dalla memoria del lessico alla memoria delle sequenze e procedure.
Credo che la cosa più utile sia trovare un professionista (neuropsichiatra o altra figura che si occupa tecnicamente di test per la certificazione) che sia disponibile a leggere con voi e con l’insegnante il profilo cognitivo di vostro figlio, per partire da lì. Una persona che vi aiuti anche nel dialogo con l’insegnante (noi ci eravamo rivolti alla psicologa della scuola che aveva trasmesso alcuni consigli pratici agli insegnanti in modo che non fossimo noi a doverlo fare).
Purtroppo non conosco strategie specifiche per la discalculia – so che esistono infiniti titoli di Erikson per esempio su questo: non saprei su quale mettere le mani, onestamente. Però provo a contattare qualcuno che conosco per darti, se possibile, informazioni più precise.
Intanto un saluto e un abbraccio
Francesca
PS Mi permetto un ultimo consiglio. Se hai riconosciuto in te aspetti in qualche misura somiglianti con tuo figlio, proprio tu puoi diventare il suo miglior ‘consulente’: chissà che scavando nella tua memoria scolastica tu non riesca a recuperare qualche strategia, magari bizzarra, messa in atto per sopravvivere alla matematica… Come racconto in un post in questo blog, dopo enormi fatiche per ‘infilare’ i verbi latini nella testa di nostro figlio, è stato suo padre a rispolverare il metodo con cui li aveva imparati lui. Quello con cui Filippo ce l’ha fatta 😉
PS 2 Molto interessante il punto che sollevi: ma non stiamo abbassando troppo la richiesta? Un tema su cui andrebbe organizzato un convegno…
Cara Francesca, quanto hai ragione! La tua ultima frase mi echeggia in testa. Quando vado a fare i colloqui per mio figlio al terzo anno del liceo scientifico mi rendo conto che non riescono a capire le difficoltà del mio ragazzo. Non voglio passare sempre per la mamma che difende suo figlio, perché spiega che si stanca più facilmente, che non si ricorda le “etichette”, che si perde e che quando tutto è troppo mi dice che gli va in pappa il cervello.
Per me è molto difficile, perché anche io sono dislessica e non riesco a dimenticare le umiliazioni. Un dislessico sa che capisce e quando non rende in verifica si sente umiliato. C’è poco da fare. Fare un errore di ortografia è imbarazzante. Sapere che mio figlio sente queste cose mi rende triste e impotente. Cerco di non farglielo capire, ma non posso fare a meno di medesimarmi in lui. Eppure ce l’ho fatta. Mi sono anche laureata ma le cicatrici nell’autostima non spariscono!
Un caro saluto a tutti,
Barbara
Ps. W il correttore ortografico 😊