souvenir dalla vacanza

4 agosto 2010
Tempo di lettura: 3 minuti

Quando agosto inizia a sgocciolare via e non restano che pochi giorni di vacanza, diventa pressante il desiderio di spenderli al meglio. Ma come? Cerco ispirazione tra i ricordi delle estati più belle e, mentre affiorano immagini come da un album di foto, scopro che non sono i grandi viaggi o le vacanze esotiche che per primi mi tornano in mente. Sono sensazioni, più che altro, istanti minuti e all’apparenza insignificanti. La canicola del dopopranzo, quando i grandi dormivano e io, bambina, mi ingegnavo per trasformare la terrazza in un campo da tennis. Il profumo di una spiaggia in Gallura, piena di cardi pungenti come i miei malumori preadolescenziali. La voce di mio padre, che dopo una giornata di viaggio con roulotte al seguito

ci diceva: «Bambine, ora cerchiamo il campeggio»; si partiva in una direzione ma senza destinazione, e il posto in cui passare la notte era la prima di molte cose inattese. Tempi da riempire e piccole sorprese erano la magia di quelle estati, e, a ripensarci, mi pare di trovare proprio lì il cuore segreto della vacanza: “vacuum”, la parola latina da cui deriva, non vuol forse dire vuoto? Ma oggi il vuoto sembra difetto, i ritmi pieni e forsennati del lavoro sono il nostro unico schema d’azione: programmare, organizzare, realizzare. Ormai non si prepara la valigia prima di aver visto in foto la stanza d’albergo, a nessuno viene in mente di partire senza sapere cosa farà minuto per minuto. Prenotare è la parola d’ordine, scegliere la meta e assicurarsela in anticipo. È molto comodo, in effetti: tutto è sotto controllo, gli imprevisti ridotti al minimo e, se qualcosa va male, hai anche qualcuno con cui prendertela. Ma io non posso dimenticare quando, a 18 anni, zaino in spalla e biglietto Inter-rail in tasca, si arrivava in stazione e si diceva: «Dove andiamo, Parigi o Bruxelles?». Come non dimentico l’eccitazione della ricerca del campeggio, quando l’unica certezza era il rumore delle cicale, basso continuo di un concerto da improvvisare. Ho avuto estati più eccitanti, altre più noiose, ma di tutte conservo un’impressione che vorrei tanto ritrovare. Nelle ore trascorse senza nulla da fare, mi sentivo così bene che correvo a dire a mia madre: «Io mi sento io!». Lei non capiva quella stramba espressione, ma ancora adesso la associo ai momenti in cui sono in armonia con me stessa. Credo fosse l’effetto del “vacuum” che si cela nel cuore della vacanza: se ci entri, lui si riempie di te. Amori, legami, sogni, aspirazioni, fantasie, tormenti, tutto quello che sei davvero, e che al lavoro e in ogni impegno quotidiano deve restare sullo sfondo, finalmente affiora. Se gli dai il tempo, sboccia: un’idea nuova, un’intuizione, un progetto, qualcosa ne esce sempre. Ed è l’unico souvenir che valga la pena di riportare dalla vacanza.

Pubblicato su Donna Moderna n. 33, 2006

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