Storia di una dislessia – cap. 1
EPIFANIA

6 maggio 2016
di Francesca Magni

Storia di una dislessia

 

Dobbiamo uscire e come al solito siamo in ritardo, lui non è pronto, vaga senza meta mentre io mi preparo frenetica, sei vestito?, gli urlo dall’altra stanza, “Mmmh ci sarebbero domande più interessanti – mormora lui – per esempio, la materia oscura sarà il carburante del futuro?”.

Benvenuti nella testa di Filippo, 14 anni, un QI da paura, solo dieci alle elementari, dieci quadrimestri, dieci materie, tutti 10, in cinque anni ne ha presi 100, per dir solo delle pagelle, ma poi scarsino in prima media, sei pigro, non studi!, e giù rimproveri, il suo sguardo triste, i diari ridotti a brandelli, incisi con la punta del compasso, i compiti scritti a sprazzi su pagine a caso, scatti di rabbia, matite spezzate, penne ridotte ai loro irriconoscibili componenti, l’odio viscerale per la scuola, per il tedesco, pochi amici pochi sorrisi, e via peggiorando, ci aspettiamo di più ora che sei in seconda media, e giù le nostre occhiate insoddisfatte, è intelligente e non si applica. Finché mi chiamano da scuola, venga a prenderlo è svenuto. Attacco di panico, psicologa, primo colloquio solo con noi genitori: raccontatemi di Filippo, la sua storia da quando è nato.

È sempre stato un tipo originale, ci troviamo a dire all’unisono, suo padre e io. Non gattonava, rotolava con tutto il corpo, lo ripescavo sotto il comò, andava dappertutto, muto e sempre in movimento. A diciotto mesi, quando è nata la sorella, diceva a malapena mamma e ‘papagigi’, un semplice papà è arrivato più tardi, dopo il trasferimento a Roma che ha diviso la famiglia e lasciato Filippo senza parole: ha ricominciato a dire qualcosa a due anni e mezzo, una volta tornati tutti a Milano; ma la paura gli era rimasta, e la rabbia, scene di pianto, bisogno di rituali, iper controllo, “ma io volevo che era ancora buio” strillava la mattina.
Poi l’amore per gli animali, “l’uomo ha inventato tutto tranne le cose della natura e gli animali” mi ha detto a cinque anni. E una eccezionale abilità nel disegno, e con i Lego, simmetrie di forme e colori, costruzioni di incredibile bellezza, e lo sport, la scuola. Tutti dieci ma una furia repressa, grandi pianti la sera, è in una classe difficile, pensavamo, non trova compagni simili a lui; andando a scuola nelle mattine di pioggia, spostava i lombrichi dal marciapiede all’aiuola perché non venissero calpestati, “io amo i pipistrelli perché non li ama nessuno” ci spiegava, e temi in classe bellissimi, pieni di errori ma con pensieri speciali, i giorni dei mesi li sapeva solo in inglese grazie a una canzoncina, però con le tabelline ci sapeva fare e il vocabolario, ricco e creativo, parole rubate ai libri che gli leggevo, reinterpretate a suo modo, e quante risate ci siamo fatti per la “gara delle dominali” in prima elementare (“ho vinto io che ne ho fatte 29; le dominali sono stanchevoli”) o per la calza impigliata in una scheggia del parquet, “questa la dobbiamo proprio aggiustare perché è bella e inoltretutto si è rotta ingiustiziamente”. Geniale e cupo, ipersensibile e rabbioso, dolce e oppositivo, l’odio per le stringhe che non voleva allacciare, il rifiuto di leggere l’orologio e l’ammutinamento con i compiti delle vacanze in un pomeriggio di canicola salentina, un pianto smisurato per quelle schede di quarta elementare piene di giochi più che esercizi. Niente, non li ha fatti.

Sono passate due ore, non finiscono mai gli aneddoti su Filippo, i ricordi. Né la pena che in questi dodici anni ho accumulato per i suoi occhi acuti e seri, né l’incanto del suo filosofare, né lo stupore per la sua intelligenza, né l’inquietudine per la sua rabbia, né il divertimento quando la sera, prima di dormire, mi chiedeva di “aprire il negozio delle domande” e “quanti granelli di sabbia ci sono nel mondo? Il virus è più piccolo della coda di una pulce?”, né la tenerezza per le lettere che non pronunciava bene, ci, gi e poi ti al posto di si e la erre mai trovata, nemmeno dopo mesi di logopedia, né l’amore sconfinato per quel suo modo di essere lui, così unico, il bambino che giocava a “Facciamo che io ero un leopardo però parlavo l’umanitario”.
La psicologa passa il suo sguardo azzurro da me al papà di Filippo e viceversa, sposta un poco il peso sulla sedia e dice: “Ma lo sapete che mi avete descritto un bambino dislessico?”.

>>continua qui

E qui tutti i capitoli della storia:

Storia di una dislessia – cap. 1 EPIFANIA

Storia di una dislessia – cap. 2 CREDEVO DI ESSERE SCEMO

Storia di una dislessia – cap. 3 È QUALCOSA

Storia di una dislessia – cap. 4 LA MALEDIZIONE DEI NOMI PROPRI

Storia di una dislessia – cap. 5 SIAMO TUTTI DISLESSICI?

Storia di una dislessia – cap. 6 COSA PROVA UN DISLESSICO A SCUOLA

Storia di una dislessia – cap. 7 LA CERTIFICAZIONE: OGGI È UN MALE NECESSARIO

Storia di una dislessia – cap. 8 GRAMMATICA DRAMMATICA

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