l’abbandonologa e l’arte di non darla vinta al tempo (Carmen Pellegrino Cade la terra)

23 febbraio 2015

Carmen Pellegrino Cade la terra (Giunti, 2015, €14, pp. 220).

C’è un paese abbandonato nel Cilento o giù di lì, uno dei tanti che vedi aggrappati alle montagne quando attraversi l’Italia – Fresa Grandinara, mi viene in mente, fra l’Abruzzo e il Molise (che forse abbandonato non è ma lo immagino così), e ognuno di noi potrebbe dire un nome diverso, visto e rivisto in corsa dall’autostrada. E in questo paese Estella, l’ultima caparbia abitante, ha scelto di restare.

Sola fra i muri cadenti, dove ogni cosa si immagina arrugginita e lisa, racconta dei compaesani di un tempo, ricostruendo un puzzle  dell’Italia nella prima metà del ’900, con figure semplici ma indimenticabili, donne sul cammino acerbo verso l’emancipazione, uomini crudeli o utopisti, gente come quella che popolava le chiacchiere dei nostri nonni. Il romanzo procede come una raccolta di racconti, tutti nelle mani di Estella che li custodisce come chi presta le proprie lacrime alle tombe, anche a quelle che non conosce.

Ho spesso pensato, da bambina, quando seguivo la nonna al cimitero, che qualcuno avrebbe dovuto occuparsi in qualche modo di quelle vite andate, ci sarebbe voluta una voce a ricostruirne i passi, benché semplici o forse insignificanti, una voce di altoparlante che onorasse l’umanità raccontando vite che sono la maggioranza.

Estella è un personaggio meraviglioso perché, senza traccia di retorica, ha capito che amare i luoghi abbandonati e chi li ha vissuti è un modo per non darla vinta al tempo. Amare per ripopolare, per “ripopolarci del nostro passato”. È ciò che fa anche Carmen Pellegrino, ‘abbandonologa’ per vocazione: da mesi colleziona storie di paesi e case in rovina, segue funerali di sconosciuti per raccogliere ceneri di esistenze, e li racconta su Facebook con la stessa dolcezza struggente con cui ha scritto Cade la terra, che è il suo romanzo d’esordio.

Scritto da: Francesca Magni

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