Olanda in bicicletta, giorno 9: huis

28 agosto 2013

Chiedo ai bambini due aggettivi per descrivere le cose viste oggi ad Amsterdam. Per la casa (in olandese huis) di Anna Frank concordano su emozionante e per il Rijcksmuseum scelgono sorprendente (Filippo) e fantastico (Costanza). Non avrei saputo dire meglio.

Su consiglio del filippino che ci affitta uno “studio”, lasciamo le bici in un parcheggio custodito accanto alla stazione (1,25 euro al giorno). Pare che le rubino con facilità. E Amsterdam è ciclabile ma i ciclisti sono molto aggressivi, il traffico intenso e la viabilità caotica. Con i bambini preferiamo girare a piedi.
Al 263 di Prinsengracht c’è l’ufficio di Otto Frank, ex banchiere tedesco trasferitosi ad Amsterdam con moglie e figlie dopo che Hitler aveva preso il potere. Quando la Germania conquistò l’Olanda e vi estese le leggi razziali, Frank capì che era meglio nascondersi. Ho visitato il nascondiglio di Anna Frank diversi anni fa e non ricordavo fosse cosí toccante. Ma ricordo che anche allora, scoprendo che Otto Frank era sopravvissuto fino al 1980 e aveva risposto a tutti quelli che gli scrivevano dopo aver letto il diario di sua figlia, avevo desiderato avergli scritto anch’io. Nel museo che lui ha voluto restasse senza mobili – ne sono stati ricostruiti di fedeli agli originali solo per scattare alcune foto – e che ha reso un luogo di memoria e di istruzione, Otto Frank compare in una videointervista: ha impiegato molto tempo prima di trovare la forza di leggere il diario di Anna consegnatogli da Miep, una delle persone che li avevano aiutati nei due anni di clandestinità. “Sapevo che scriveva un diario e mi aveva fatto promettere di non leggerlo mai di nascoso. Ma non sapevo che mia figlia avesse una visione così profonda del mondo e di ciò che accadeva” dice. “Attraverso il diario ho avuto la fortuna di conoscere mia figlia come capita solo a pochi genitori”.
I miei bambini seguono ogni cosa attenti e attoniti. Le tacche sul muro dove la mamma misurava l’altezza di Anna e di sua sorella Margot. La mappa su cui il padre segnava l’avanzata degli alleati. L’unica finestra in soffitta non coperta da tende nere.
E c’è una grande foto della prima elementare di Anna Frank: 30 bambini di cui 15 ebrei. 9 di loro sono morti nei campi. Ogni bimbo nella foto è indicato con nome, cognome e destino. Li leggiamo uno per uno, un piccolo pellegrinaggio della memoria.

Smaltiamo l’emozione con una passeggiata fino al Rijksmuseum appena restaurato, sontuoso e organizzato benissmo (è la prima volta che la piantina/guida di un museo è funzionale e comprensibile!). Offre varie sorprese: dalla famosa lattaia di Vermeer con gonna blu e camicetta gialla (difficile staccarsi) alla Ronda di notte di Rembrandt: suo è anche un ritratto di uomo con turbante bianco che a guardarlo senti sotto le dita la consistenza soffice della barba! Le scene invernali sui canali ghiacciati dipinte da Avercamp raccontano che le donne indossavano maschere scure simili a quelle di Pulcinella per proteggere gli occhi dal freddo. E poi ci sono le case delle bambole del ‘700 costruite con miniature perfette di mobili veri e lussuosi. Non erano dedicate ai giochi dei bambini ma al piacere delle signore dell’epoca. Sono uno spettacolo e svelano come erano divise le stanze e come venivano utilizzate: all’ultimo piano un ampio locale era adibito a lavanderia con bacchette per stendere i panni da parete a parete, subito sotto il soffitto. Non esistendo le mollette, si infilavano le maniche sul bastone steso orizzontalmente.

Dopo una merenda da Pancakes (in Berenstraat, li fanno nella versione americana e in quella olandese, più larghi e sottili) si riparte in bici: oggi solo 27 km e saltiamo da Amsterdam alla campagna. A Monnikendam la ciclabile sale su un argine, da un lato un lago e dall’altro il mare. È grazie a quella lingua di terra se esiste questa regione chiamata Waterland. Il nostro bed & brekfast (Op de Horsten) è una bella casa di campagna con persiane di legno colorate, affacciata sul lago e sul pascolo di pecore. Il paese ha un centro antico da cartolina, file di casette sul porticciolo. Ma il mare, da queste parti, non lo senti. Sta zitto dietro argini e dighe, nei giorni di calma. Al di qua, puoi fingere che non ci sia. Il ristorante di stasera è in quello che doveva essere l’edificio per la pesa dei formaggi – i bracci di legno con i ganci a cui appenderli ora fungono da decori. Si mangia bene, zuppa di pesce, petto d’anatra. Tornare a casa in bicicletta nel buio della notte è l’ultima magia della giornata. Case. Huis. Sempre loro. Nel borgo vecchio come nella parte moderna le vetrate sono senza tende. Arredi in stile scandinavo, camini, divani, chaise-longue. Luci soffuse. Cucine bianche e moderne, bellissime. I loro proprietari stesi davanti alla tivù. Gli dispiacerà se sbirciamo?

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