da Jane Austen alle donne
di “Se non ora quando?”

10 luglio 2011

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Una delle ragioni per cui ho sempre amato Jane Austen è che soddisfa due esigenze antitetiche, le concilia in un particolare e quasi paradossale gioco di ribaltamenti. Mi spiego. Leggendo i suoi romanzi (purtroppo troppo pochi) si appaga il gusto – confessiamolo – molto femminile per le storie romantiche e la conversazione arguta e seduttiva, e contemporaneamente si è indotti a sentire (non semplicemente capire: proprio sentire) che la miglior femminilità è quella che sa immergersi in questi romanticismi conservando una riserva mentale salvifica, una indipendenza di pensiero e di critica. Questo avviene, per fare solo un esempio e il più noto, grazie a donne magnifiche come Elizabeth Bennet di Orgoglio e pregiudizio: integrata nelle logiche del tempo di matrimonio/patrimonio, eppure capace di conservare i propri desideri e di sposare Mr Darcy per amore, vero amore, non per interesse.
Ora arriva la notizia che va all’asta da Sotheby’s a Londra, il 14 luglio, un manoscritto originale e incompiuto di Jane Austen, The Watsons, che ha per protagonista un’altra Emma, come l’altra dell’omonimo splendido romanzo, ma meno vanitosa e più tosta, un’altra Lizzie, per intenderci. I Watsons sono una famiglia con padre vedovo e invalido e quattro figlie femmine, una delle quali è stata cresciuta in città da una zia che, dopo essersi risposata, ha rimandato a casa la nipote, Emma appunto. Più acculturata e meno provinciale grazie all’educazione ricevuta, Emma disprezza il matrimonio a cui invece le sorelle affidano tutte le loro speranze, e pare che nel finale, che purtroppo la Austen non scrisse mai ma raccontò alla sorella Cassandra, avrebbe rifiutato l’offerta di nozze di un aristocratico che non lo amava. Ogni tanto Emma si rifugia accanto al letto del padre malato: «Nella sua stanza, Emma riparava dalle tremende mortificazioni di una società ineguale», «nella sua stanza poteva leggere e pensare».
Così una scrittrice dell’Ottocento riesce a fornirci una attualissima chiave di lettura della femminilità, la stessa che in questi giorni il movimento “Se non ora quando?” ha riportato in piazza a Siena, dopo la manifestazione spontanea del 13 febbraio (ricordate? un milione di italiane in 200 città, a chiedere dignità e diritti). Jane Austen ci incolla alla pagina ancora oggi perché solletica tutte le sfumature della femminilità ricordando, fra le crinoline delle sue protagoniste, che essere donna non può prescindere da cultura, autonomia critica, indipendenza mentale e materiale: in un punto del manoscritto The Watsons, Emma spiega a Lord Osborne, suo aristocratico spasimante, che esiste una “female economy” che a differenza di quella maschile non può trasformare redditi esigui in grandi patrimoni. Così invita anche noi a ragionare sulla necessità di un’indipendenza economica (in Italia solo un quarto delle donne ha un lavoro). E a me fa pensare che a mia figlia di 5 anni che chiedeva “quando potrò avere un bambino?” risposi: quando avrai un lavoro.
Mia sorella mi rimproverò l’assenza di messaggi affettivi – avrei dovuto almeno aggiungere la presenza di un uomo amato. Eppure, se mia figlia lo chiedesse di nuovo, darei la stessa risposta.

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Nella foto: Jane Austen ritratta dalla sorella Cassandra © National Portrait Gallery

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Scritto da: Francesca Magni

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5 commenti a “da Jane Austen alle donne
di “Se non ora quando?””


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