calarsi nella pelle del nemico:
incontro con David Grossman

27 marzo 2012

Ieri sera, al Franco Parenti di Milano, Mondadori ha organizzato un incontro con David Grossman e Margaret Mazzantini. Con la Mazzantini pencolavo tra lo sbadiglio e quell’imbarazzo per conto terzi che si prova di fronte a chi si incensa convinto al contrario di essere modesto. Ma non amo la sua scrittura, chi mi segue lo sa. Grossman invece ha detto piccole cose belle, che vorrei raccontare, a partire dal modo in cui “resta incinto” di una storia… La sento arrivare e mi metto a camminare, racconta. Se è primavera esce all’aperto e via via che la storia si forma cammina sempre più in fretta e così per giorni; se è inverno gira in tondo in una stanza di casa, con la moglie preoccupata che tanto strofinio bruci il tappeto! «Rimango intrappolato in una storia, è come se ci corressi dentro, per questo cammino sempre più veloce». Una storia è come un indovinello per i bambini, dice Grossman: «devo chiedermi come vive il personaggio, cosa pensa, come reagirebbe alle situazioni, devo indovinare tutte le risposte». A muoverlo, quando scrive è soprattutto la curiosità dei panni degli altri. Entrare nella pelle del nemico. «Uno dei peccati di oggi è impiegare tante energie per essere se stessi e invece non spendersi per essere anche gli altri. Pensate a un uomo e una donna che solo un istante prima di fare l’amore si rendono conto se sono l’uomo o la donna. Ecco lo stupore di essere anche altro mi piace».

Ci riesce, Grossman, a guardare con gli occhi degli altri. Lo dimostra anche la delicatezza che usa mentre parla dei suoi libri per l’infanzia: Quando scrivo per i bambini – dice – penso alla sera prima di dormire. È un momento particolare per i bambini, un momento fisico e intimo di contatto con i genitori. Ma poi, dopo il bacio della nanna, sono soli, le voci della casa cambiano, una manica nel buio sembra la proboscide di un elefante, difficile per loro capire cosa siano i sogni, scollarsi dalla realtà e magari cadere in un incubo da cui il papà non può tirarli fuori… I miei libri voglio che siano un bacio sulla guancia di un bambino prima che attraversi la prova della notte. E poi le storie per i bambini sono belle perché legittimano situazion non comuni, usi un senso dell’umorismo, usi un registro surreale e così raccontare ai bambini è creare un incontro tra il genitore che si abbandona a una dimensione che non gli è solita e il bambino che riceve.

Otto mesi fa David Grossman ha terminato un romanzo, edito in Israele. «Ora sento che qualche abbozzo di idea inizia ad affiorare». Noi aspettiamo.

Scritto da: Francesca Magni

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