il giardino della felicità
(Takuji Ichikawa Sono tornata, amore)
Scritto da: Roberta Diliddo
Takuji Ichikawa Sono tornata, amore (Salani, 2011, € 16,00, pp. 343). Il titolo di questo libro non rende giustizia a un romanzo che ho trovato semplicemente poetico. Parla di tre ragazzi che si conoscono e stringono un forte, fortissimo patto d’amicizia, sulla cima di un una discarica abusiva. Siamo nella periferia di una città del Giappone. Il protagonista è Satoshi, figlio di due genitori troppo grandi rispetto a quelli dei suoi coetanei, che non riesce a trovare amici. Poi c’è Yuji un dolcissimo “piccolo principe” che si rifugia sulla collina di rifiuti perché non regge la pressione del confronto. La sua isola è fatta di cose abbandonate che meritano una seconda vita e che lui amorevolmente gli offre. Ha addirittura creato un salotto recuperando un divano e un tavolino. E in fine c’è Karin, una ragazzina grintosa pronta a difendere i suoi leali amici in ogni momento. La loro mascotte è un cane sporco e trasandato che i suoi precedenti padroni hanno privato della possibilità di esprimersi con un intervento. Dimenticavo! Si chiama Trash.
Intorno a loro c’è un universo di persone che influenza e modifica i loro sogni, ma nonostante le difficoltà continueranno ad aiutarsi e a cercarsi.
La cosa che più mi ha commosso di questo libro è la poesia con cui affrontano un argomento per noi tabù, un tema che ci porta subito a battutine e gesti scaramantici. La morte. Si può parlare di questa tema senza provare angoscia e paura, senza sentirsi timorosamente inadeguati davanti a una dimensione in cui ci verrà presentato un conto inevitabilmente troppo salato. Sì, per altre culture è possibile. Quel posto loro lo chiamano: “il giardino della felicità”, non è poesia?
Sono tornata, amore – Takuji Ichikawa – Salani 16,00 Euro – 343 pagine
Post letto 860 volte
Tags: Giappone, morte, Salani, Sono tornata amore, Takuji Ichikawa
Questa bella recensione mi fa venire in mente due cose di ordine diversissimo.
La prima è che la trama mi ricorda quella del romanzo di Elisabetta Bucciarelli “Corpi di scarto” (l’ho recensito qui http://www.lettofranoi.it/2011/07/elisabetta-bucciarelli-corpi-di-scarto) e, che la Bucciarelli abbia letto o meno questo libro giapponese (forse i tempi di pubbliazione e scrittura nemmeno lo avrebbero consentito) trovo curioso il prodursi delle idee nelle nostre teste, quel percorrere itinerari a volte analoghi e paralleli chiamati forse da metafore che il mondo di oggi sembra imporre… E’ una considerazione un po’ vaga e che vale il tempo che trova, ma volevo condividerla con voi. Anche perché spesso i libri si rimandano gli uni gli altri come tessere di un domino e qualche volta ho pensato che sarebbe divertente costruirlo proprio, un domino del genere…. accostandoli per la trama, per i personaggi, le ambientazioni, il linguaggio, il sapore, il tono… Forse ci sarebbe da divertirsi.
Per l’altra considerazione userò un commento a parte.
Roberta accenna al modo in cui i giapponesi affrontano la morte. E questo mi offre lo spunto per dirvi di un film, “Departures”, ovviamente un film giapponese. Racconta di un giovane violoncellista fallito che va a vivere in provincia con la moglie e per necessità di lavorare si lascia assumere, senza sceglierlo e senza riuscire ad opporsi, da un tanatoesteta. Serve qualche reminiscenza di greco per immaginare un mestiere che da noi non esiste né è concepibile: si tratta di truccare i morti per restituirli ai familiari prima della cremazione nella forma più simile a come erano da vivi. Il tanatoesteta, un esteta della morte, seguendo il modello di una foto, cerca di restituire al viso cadavere i colori e le espressioni che aveva, e lo compone nei suoi vestiti abituali con la stessa cura gentile che i giapponesi usano nel fare un pacchetto (li fanno con la stoffa, e anche di questo un giorno dovrò raccontarvi…). Tutto avviene sotto gli occhi dei parenti, per terra su un tatami (la stuoia di bambù che fa da pavimento alle case giapponesi). Ho pianto per l’intera durata del film. Ma non di strazio, tutt’altro! La musica di Joe Hisaishi è dolce, il film è dolce. Credo di aver pianto i miei morti, come facciamo tutti in queste situazioni. Ma più di ogni altra cosa ho pianto i nostri stupidi funerali, pieni di parole imbarazzate, ispirate o scontate a seconda dei casi. Sempre inopportune e stupide. Perché noi della morte sappiamo solo la vita, sappiamo quel che è stato prima e quel che ne è rimasto: il corpo. E’ del corpo che dovremmo prenderci cura, con affetto e tenerezza; è il punto più estremo che abbiamo per sfiorare il mistero di un battito svanito, di un calore perduto.
Il giovane apprendista tanatoesteta non incontra molti favori, tra i benpensanti del piccolo paese di provincia. Quel mestiere non è onorevole, pensano molti. Ma tutti, benpensanti compresi, quando tocca a loro vedere rivivere sul caro estinto il volto perduto che conoscevano, sentono che qualcosa è stato loro restituito, da quel delicato maquillage: probabilmente il ricordo ricomposto. Necessario sempre, dopo un lutto, per cominciare il cammino del distacco.
Grazie Francesca, sono due spunti molto interessanti. Per altro “Departures” è un film che volevo vedere, ma che mi ero persa al cinema. Rimedierò.
Cara Francesca, non ho letto il libro recensito ma lo farò, anche perché quando si scrive si entra in un mondo e non basta un libro, la storia che prende forma, per uscirne.
A questo aggiungo che mentre scrivevo Corpi di scarto, Vik Muniz un bravissimo artista contemporaneo, stava girando un docufilm dal titolo Waste land… proprio nella discarica dove ambientavo il mio lavoro. Si trova in rete ed è bellissimo e commovente. Insomma c’è qualcosa che intreccia i fili, immagini facili comuni a molti ma anche (e soprattutto) frammenti sotterranei e pensieri complessi che riguardano tutti e che “cadono a terra” con apparente casualità, sparsi nelle penne, nella musica, nelle visioni e alla fine nella sensibilità di chi i fili poi riesce a intrecciarli
grazie
Elisabetta
In effetti immaginavo che non lo avessi letto e proprio questo rende suggestiva la coincidenza che, come tu dimostri, va ben oltre il tuo libro e quello giapponese. E non è poi solo coincidenza, io credo, ma condivisione di atmosfere (non necessariamente facili), di metafore, di messaggi, di modi di sentire e di urgenze di dire… Trovo affascinante questo lato della comunicazione umana, che travalica tutti i mezzi di comunicazione conosciuti per diffondersi lungo una via sotterranea ma pervasiva di pensiero universale.
Spero che tu stia scrivendo e di poterti leggere presto…
Scusami Francesca, ma ho letto solo ora la trama di “Corpi di scarto”.
È molto diverso. La cosa strana del libro che vi ho raccontato qui sopra è proprio l’assenza di puzza, la totale mancanza di sporco. In questo romanzo è come se tutto quello che viene raccontato fosse ripulito di ogni giudizio e pregiudizio. La discarica non mi ha dato fastidio, era descritta come un luogo neutro dov’è possibile, anzi quasi normale, ritrovarsi a giocare. Quello che mi ha sorpreso è come sia riuscito a parlare di ragazzi emarginati senza farli sentire tali, a parlare di morte senza farmi stare male… La poesia un po’ è questa credo…
Certo, ma è proprio l’idea dei ragazzi nella discarica che accomuna i due libri a farmi pensare a metafore comuni che travalicano il luogo e la cultura dell’autore… E non mi stupisce affatto che il giapponese crei una discarica linda e senza odori
Ho finalmente visto “Departures”. Grazie Francesca veramente un bellissimo film!