日本 l’impero dei gadget
Miwako è un’amica giapponese che da 15 anni vive in Italia. Le ho chiesto se non avesse nostalgia del suo paese e mi ha risposto no, le ho chiesto perché e mi ha risposto che a Milano se devi comprare una penna è facile, ce ne sono un po’, ma non troppe, in Giappone è un incubo. Ce ne sono migliaia di tipi diversi, diventi matto a scegliere e ovviamente le vorresti tutte. Troppa merce in vendita, troppa sollecitazione, troppa frustrazione. Ho capito cosa intendeva visitando Tokyu Hands, un centro commerciale di sette piani a Shibuya che ha un omologo ancora più grande a Shinjuku. All’inizio mi sentivo come un cittadino della ex Unione Sovietica entrato per la prima volta in un supermercato occidentale: stupore e desiderio. Arrivata al terzo piano avevo già comprato due bicchierini per saké, cinque gomme a forma di sushi, otto pennarellini, una confezione di doggy bag usa e getta per metterci quella che i lombardi chiamano schiscetta, un paio di occhiali stile drag queen, una borsa. E mi ero trattenuta dal comprare una spugnetta mangiapolvere a forma di porcospino, un paio di calze con tutte le dita, un paraorecchie per l’inverno accessoriato con cuffiette per ascoltare la musica, un massaggiatore manuale a forma di dromedario: il reparto benessere era zeppo di oggetti che in italiano non sai nemmeno come descrivere, la gamma dei massaggiatori manuali, strani aggeggi con cui accarezzarsi per sciogliere le tensioni, sembrava uscita da un film comico-visionario. Il Giappone è il regno dei gadget, nessun popolo al mondo è equipaggiato come i giapponesi per fare qualsiasi cosa. Amélie Nothomb che in Né di Eva né di Adamo racconta la sua storia d’amore con il giapponese Rinri, non manca di notare con divertimento l’attrezzatura minuziosa che lui tira fuori una sera per prepararle un barbecue. Al reparto casalinghi c’erano due intere corsie dedicate alle scatolette per gli obento, ovvero i pranzi al sacco che i giapponesi si portano al lavoro e danno a scuola ai figli. Ci sono scatole con doppi scomparti per contenere cibi freddi e cibi caldi, scatole con il doppio fondo in cui mettere le alghe di accompagnamento, scatole con speciali porta-salsa di soia, scatole triangolari a forma di onigiri, scatole per le bacchette, borsette su misura per tenere la scatola dell’obento alla giusta temperatura; e poi scatole porta aglio a forma di testa d’aglio e scatole porta banana a forma di banana! La varità di thermos porta-zuppe occupava altre due corsie, per non parlare del settore carte per disegnare: 4 corridoi fitti di cassettini con fogli di ogni misura e colore del pantone. C’erano persino carte su misura per ricoprire i ventagli piatti, carte di ricambio immagino, visto che il ventaglio te lo vendono completo. L’inessenziale qui è regola, non si vendono solo oggetti ma oggetti per equipaggiare altri oggetti, li vedi e ti sembrano geniali, come la molletta per tenere insieme gli stivali. Ma essere indotti a credere d’aver bisogno di una molletta per tenere insieme gli stivali deve essere spaventoso. O no?
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Tags: Amélie Nothomb, Diario dal Giappone, Né di Eva né di Adamo
Io il porta-banana ce l’ho, in Svezia (la mia prima volta :D) non ho resistito! Funziona!
E i porta aglio-peperone-cipolla a forma di aglio-peperone-cipolla ci sono anche nel supermercatino sotto casa mia… Da noi i gadget ci sono, certo non così tanti: bisogna guardare in alto nelle corsie dei supermercati e avere occhio.
La cosa per cui non ho assolutamente senso della misura è la cartoleria: come hai fatto a resistere?
E’ vero, la prima volta che ti scontri con un centro commerciale a Tokyo resti frastornato. Però nessuno ti obbliga a comprare. Certo, il Giappone non è il paese degli indecisi ma dei curiosi e, soprattutto, è il posto in cui se cerchi una cosa che hai in testa e pensi che “nessuno abbia ancora inventato ma sarebbe una buona idea se qualcuno l’avesse già inventata”… la trovi!
E’ un po’ come la prima sera che, appena arrivato a Tokyo, affronti l’incrocio di Shibuya. Pensi: “che casino di luci, suoni e persone, non ce la farò mai ad arrivare dall’altra parte dell’incrocio”… poi invece ci arrivi e senza che nessuno ti abbia pestato i piedi o ti abbia urtato
Caspita gli occhiali con la lente rossa ed il disegno della spirale mi servirebbero proprio a celare gli occhi insonnoliti, stamattina al lavoro!
forse in quel reparto casalinghi….. Chissà se i miei cassetti riuscirebbero a contenere qualcos’altro!
io sono andata in Giappone quest’estate. Sono partita con una valigia di 19 k e sono tornata che pesava 22 k…per non parlare del pacco di 19 K che ho spedito…è vero che sono stata ospitata e ho ricevuto per questo quintali di regali ma ho comprato un sacco di cose divertenti ma inutili…è il bello di stare in un posto che non è casa tua…
Io il porta-banana l’ho trovato qui in Italia, e non a Milano, ma in una città ben più piccola come Pordenone!
…mi sa che sono l’unica a non aver trovato in Italia un porta-banana!;-) Comunque ve lo assicuro: la quantità e la varietà di gadget in Giappone è incommensurabile con il nostro mercato italiano! E vi assicuro anche che dopo un primo momento di euforia si resta perplessi. La “felicità” del possedere e del consumare porta scritta in sé l’infelicità della frustrazione per non poter avere tutto ciò di cui ci viene suscitato il desiderio. Che società è quella che DEVE rendere i suoi cittadini frustrati per spingeli a comprare oltre ogni logica, oltre la necessità, persino oltre il piacere, e oltre le possibilità di lavoro e guadagno che quella società stessa offre?
Perché una visione così cupa dell’intera società? Tokyo, e non l’intero Giappone, è un posto dove trovi di tutto, anche le cose inutili ma tra tutte quelle proprio quella che magari cercavi da tempo e in un triste centro commerciale europeo non avresti mai trovato.
Ho tanti amici giapponesi e nessuno si sente frustrato o obbligato a comprare nulla. Così come conosco pochi italiani che si sentono frustrati a non poter comprare una Ferrari solo perché la vendono.
Il fatto che ovunque a Tokyo trovi gente che compera è per il fatto che ci transitano giornalmente circa 12-15 milioni di persone. Ognuno compra una piccola cosa, ciò che serve o anche fa sognare.
Però sono d’accordo con te se la critica è in generale alla società del consumo (indotto, non ragionevole)…ma non vedo molte differenze tra qui e lì, quantità a parte.
Il porta banana te lo compero quando vuoi e te lo porto, magari potrebbe essere un’occasione per rivedersi!
La critica è al mondo del consumo indotto e al meccanismo della frustrazione che è estremamente sottile e non riguarda semplicemente la Ferrari, ci si insinua sotto pelle senza che ce ne accorgiamo. Il primo commento sull’eccesso di merci e di consumismo in Giappone l’ho avuto da un’amica giapponese. Forse una giapponese un po’ anomala, visto che vive in Italia… In proposito mi hanno appena suggerito di leggere “Una felicità paradossale” di Gilles Lipovetsky (Raffaello Cortina): giro anche a te il suggerimento e poi magari ci confrontiamo.
Sul consumo indotto e del meccanismo della frustrazione siamo d’accordo (leggerò il libro che consigli). Mi chiedo cosa abbia di diverso la società giapponese rispetto ad una qualunque occidentale. Ma forse i miei trascorsi nipponici mi impediscono di averne una visione “da fuori”. Comunque bello il tuo resoconto del viaggio in Giappone. Mi ha risvegliato tanti ricordi e belle emozioni.
Sono molto curiosa di conoscere i tuoi trascorsi nipponici, se hai voglia di raccontare!
Per quel po’ che ho potuto vedere la differenza sta nella quantità e nella pervasività dell’offerta, e di conseguenza della spinta al consumo. Mi sento di dire, riprendendo una citazione che a sua volta fa la moglie di Terzani, Angela Staude nel suo interessantissimo libro “Giorni giapponesi”: ho visto il futuro e… non funziona…
Più che frustrazione provavo eccitazione davanti a tutti quegli oggetti, provo più frustrazione qui quando per cercare qualcosa devo girare e girare mille negozi. Tutto stà nel sapersi regolare, il consumismo c’è anche qua e certamente in misura non minore, la differenza è che là hai la scelta su cosa sperperare qui hai una scelta obbligata per così dire.
Ho sempre trovato il modo di comprare ciò che mi serviva e soprattutto come lo volevo io al prezzo che volevo io. Poi certo se prendiamo ad esempio Tokyo che è il centro di consumismo per eccellenza ci credo che un pò stordisce, spostati nelle città un pò più piccole, anche Kyoto per quanto sia una città di discreto rilievo ti dà una sensazione totalmente diversa.
Per conto mio se guardo il futuro dell’Italia…lo vedo buio buio, quello del Giappone dopo quanto successo a Fukushima sarà di difficile ricostruzione ma sono sicura che tra qualche anno si starà meglio là che qua, dove probabilmente tutti i cervelli saranno ormai fuggiti… Se gli italiani scappano all’estero un motivo ci sarà, facciamoci una domanda e diamoci una risposta.