日本 sushi a colazione

28 dicembre 2010

Sfruttando il jet-lag ci alziamo presto e andiamo a Tsukiji, il più grande mercato del pesce fresco del mondo, i cinesi ci vengono a comprare i tonni all’asta; ho visto le pinne gialle decantate dagli spot. I tonni surgelati si tagliano con una sega circolare da falegname; per il mercato corrono carrellini elettrici che trasportano casse di pesce, guidate in piedi da autisti di tutte le età e con precedenza assoluta su chiunque. La bellezza stupefacente di questo mercato sta nella varietà, si direbbe che i giapponesi mangino qualunque cosa si muove nel mare, non c’è paragone possibile con il pescato mediterraneo, qui è come sfogliare l’infinito catalogo delle specie marine; i filetti di tonno fresco sono una tavolozza di tonalità del rosso, le uova di pesce il giallo, le piovre il viola, poi l’argento di pesci grossi e lucidissimi, conchiglie da cui sbucano animali enormi, anguilline vive in barile, granchi pelosi in vasca, ogni tipo di crostaceo e persino piccole tartarughe. C’è un’energia, anche una durezza, in questo quotidiano saccheggio del mare, e una ferocia nella destrezza con cui il pesce è sfilettato vivo. È un popolo forte, quello giapponese, viene da pensare; formiche di una specie dominante. Fra il brulicare di Tsukiji e la folla di botteghe rumorose nelle vie laterali, la pausa di un tempio scintoista: una piccola area cintata in cui improvvisamente ogni suono tace, le persone entrano gettano una moneta tirano un cordone tre volte battono due volte le mani si inchinano. Una breve preghiera e poi di nuovo fuori nel giorno veloce. Le vie attorno a Tsukiji sono un suk giapponese, si vende di tutto, dai celebri coltelli alle ceramiche raku, dai casalinghi alle alghe, anche queste, come i pesci, di varietà stupefacenti; poi banchi di ravioli al vapore, di vegetali perlopiù sconosciuti a noi occidentali, di frutta confezionata monodose, mela per mela; e la carne, che qui è striata di venature impercettibili di grasso che la fanno sciogliere in bocca e si taglia sottilissima da cuocere su piatti roventi o in brodi che si chiamano shabu-shabu. Un banco di dolci sforna frittate che due addetti velocissimi raccolgono in stuoini di bambù e espondono su minuscoli scaffali dalla geometria estetica, come ogni accessorio giapponese. E poi una fila di chioschi minuscoli, uno accanto all’altro, la vecchietta che frigge il tempura ed è alta poco più del bancone e curva come una mezza luna, sembra la nonna di qualche cartoon. Al chiosco degli spiedini mi fermo, ne assaggio uno di anguilla, un pesce che apprezzo per la prima volta, per nulla grasso, cotto su un piccolo bracere e irrorato con delicatezza di una salsa leggermente dolce: delizioso. Come il sushi nei piccoli locali di legno, ti siedi al bancone e osservi mentre lo preparano, intanto bevi tè verde e sakè caldo. Il sushi a colazione, dopo il giro a Tsukiji, ha un sapore che non dimenticherò.

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