In catamarano alle Eolie / 8 cose che mi porterò a casa

21 giugno 2019

Che sia stata la fortuna dei neofiti (era la nostra prima vacanza in barca a vela) o quella degli entusiasti, fatto è che per sette giorni il mare non si è accontentato di essere calmo: è stato proprio liscio come un olio. Intensamente blu e radicalmente trasparente. E poiché le Eolie sono isole vulcaniche, si bordeggia su fondali di decine di metri e si fa il bagno in acquari profondi.

Maschera e boccaglio, inseguo i volteggi in apnea di mio figlio, nato sotto il segno dei pesci e abile avvistatore di polpi e stelle marine (grazie a lui ne ho viste tre in un solo bagno), e realizzo che sotto il mare è il solo posto in cui l’uomo possa volare. Probabilmente molti di voi già se ne erano accorti, ma per me è un pensiero nuovo che porto a casa volentieri, con l’impazienza di sperimentarlo di nuovo.

Tanto più che Natascha detta Naty, esilarante compagna di viaggio nata tedesca, diventata svizzera e fidanzata di napoletano, usa invitare chi esiti a buttarsi con un eloquente: “Tuffati che è morbida”. Non saprei dire meglio la sensazione provata nel mare delle Eolie, con i suoi blu indicibili – ieri l’ineffabile è stato a Lipari, davanti alla ex cava di pomice. Azzurro ciano con appena una punta di giallo. Turchese, potrei dire, ma non rende appieno. Per portamelo a casa, me lo sono avvolto attorno al corpo con un bagno di un’ora e negli occhi resistendo alla sonnolenza che la barca ti mette dopo pranzo.

Che qui, grazie a Roberto, siciliano, e Sabrina, romana, non si raffazzonano pasti frugali ma si progettano menu pieni di passione: cipollata di tonno, pasta alla norma, cacio e pepe, sarde fritte, cous cous e kartoffen salad con ricetta di Naty. Anche in una vacanza in barca si possono fare ottime esperienze gastronomiche se c’è chi si prodiga con generosità.

Generosità: dopo il mare in cui si vola, l’acqua morbida, i sapori (non solo) di Sicilia, è la generosità la quarta cosa bella che porto a casa da questa vacanza. Qui siamo in 11 e (a parte forse i due adolescenti un po’ ruvidi, che ancora qualcosa devono imparare) non uno che pensi a sé prima che agli altri. Regola d’oro per condividere un catamarano di 13 metri per 7.

Eppure in mare lo spazio diventa relativo: mentre navighi ti basta un angolo sulla rete di prua, un mezzo cuscino nel pozzetto, un telo steso sul tetto della dinette per sentirti in una stanza tutta per te, perché il paesaggio attorno – il mare di giorno e le stelle di notte – dilata ogni centimetro. Ed è bello proprio il fatto di vivere fianco a fianco con gli altri. Di scoprire insieme le stesse cose.

Qui ogni isola ha il suo carattere. C’è Stromboli, l’isola-vulcano per eccellenza, che ti intimorisce con gli sbuffi di fumo e fuoco, le pendici di Iddu ripide, verdi e grigie, punteggiate di ginestre, San Vincenzo affacciato a terrazza sul mare e su Strombolicchio, e con le case bianche di Piscità incastonate fra mezzelune di sabbia nera cinte da scogliere di lava. C’è Salina la dolce, con la via principale di case colorate, le terrazze e i pergolati di canne sorretti da colonne bianche. C’è Panarea, bella e vanitosa, con ville che sembrano gareggiare in giardini: bouganville di ogni sfumatura di rosa, euforbie, ficus, plumbago e lantane che formano distese azzurre e gialle, fichi d’india intrecciati con ipomee blu notte; per non parlare della giacaranda dai fiori viola che ho visto qui per la prima volta. A percorrerla lungo la strada dalla caletta di Zimmari fino al porto, Panarea sembra un giardino botanico; ma la sorpresa più bella è il tramonto su Lisca Bianca e Basiluzzo, due scogli che interrompono lo sguardo diretto all’orizzonte e arrossiscono al tramonto. Infine c’è Vulcano: con le acque e i fanghi che ribollono di zolfo, chiede di essere vista dalla passeggiata sul cratere; da lì lo sguardo spazia su Lipari, la più grande e abitata con una salita indimenticabile alla rocca e un pittoresco porto antico, e Canneto, l’altro centro abitato, di cui ricorderò la pavimentazione a greca grigia e bianca.

Goderne da soli non soddista, la forza, in un viaggio in barca, è vedere le cose insieme. Se non sapete di cosa parlo dovreste provare l’entusiasmo di Emilio che celebra borghi, vicoli e paesaggi con arie d’opera e canzoni napoletane, e l’ironia di Filippo che trasforma in epica farsesca anche un tuffo mal riuscito o lo humour di Stefano che fa battute serissimo e prima ci caschi e poi ridi. Perché è chiaro che la settima cosa che mi porterò a casa, dopo il mare in cui si vola, l’acqua morbida, i sapori di Sicilia, la generosità di cucinare per gli altri, la relatività dello spazio e il bello di vedere e fare le stesse cose, sono le risate. Abbondanti e continue.

Inversamente proporzionali all’acqua… che in barca va risparmiata perché possono passare giorni senza poter fare rifornimento (“Aprite i rubinetti a un terzo” raccomanda Pepi, lo skipper, e aspettate un attracco in porto per una vera doccia d’acqua dolce): e questa è la cosa numero 8 da portare a casa, la più concreta. Quella che ti cambia un po’. Dopo una settimana in barca capisci che tutta l’acqua che butti via nella vita quotidiana davvero non aggiunge niente al tuo benessere.

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