Islanda day 8: ghiaccio, acqua e una pessima idea

18 giugno 2018

Scritto da: Francesca Magni

Oltre gli entusiasmi per questa terra davvero unica, resta una verità che Luigi oggi ha deciso di dichiarare: “Col tempo siamo stati proprio sfigati”. E poiché le cose non si manifestano del tutto finché non le nomini, ecco che le nubi che coprivano il ghiacciaio decidono di scendere di quota avvolgendoci definitivamente nella nebbia. Visitiamo la laguna di iceberg a Jökulsarlon con il tempo peggiore che si possa immaginare. Visibilità scarsa, pioggia e un vento che trasforma i 7 gradi dell’aria in temperatura polare (e qui non si fa per dire). E se, nonostante ciò, resterà un ricordo memorabile, posso di sicuro consigliare a chi verrà in Islanda di non perdere questa tappa.
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LA LAGUNA DI ICEBERG

Le tute salvagente ci coprono da testa a piedi salvandoci dal gelo e dagli attacchi delle sterne artiche che approdano qui per nidificare dopo aver volato per 19.000 chilometri e sono gelose della terra conquistata. Saliamo in dieci su un gommone nella laguna di Jökulsárlón e sfrecciamo per sette chilometri verso il fronte del ghiacciaio passando fra iceberg di tutte le dimensioni e dalle forme splendide, spesso simili ad animali. Alcuni sono di un azzurro intenso, sono quelli emersi dall’acqua da poche ore; le parti bianche sono all’aria da più tempo.

Nel giro di cinque giorni qui sarà tutto diverso, spiega il capitano: gli iceberg si sciolgono e altri si staccano dal ghiacciaio (succede da 3 a 7 volte al giorno) e via via si sbriciolano, si dissolvono, o navigano fino al mare. Il fronte del ghiacciaio è imponente: 200 metri di altezza fra sopra e sotto il pelo dell’acqua. La guida ferma il gommone a distanza di sicurezza, quando si stacca, l’iceberg produce un’onda. Ammiriamo il muro di gomma venato d’azzurro e peschiamo dall’acqua salata blocchi di ghiaccio che sembrano vetro.

La laguna sfocia sul mare dove si trova la spiaggia più incredibile che abbia mai visto: sabbia nera e blocchi di ghiaccio azzurri, ora lisci ora ricci ora identici al cristallo.

Fine delle parole, qui si può solo guardare.

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IL GHIACCIAIO VATNAJÖKULL

Il ghiacciaio Vatnajökull lambisce la Statale n. 1 per un bel tratto a sud, le sue lingue si spingono fino a un paio di chilometri dall’asfaltata e basta un tratto di sterrato per inseguirle. Ne scegliamo una baciata da una goccia di sole filtrata fra le nuvole. Camminando verso di lui, il ghiacciaio sembra una gigantesca vasca di gelato alla stracciatella posata ai nostri piedi; attorno, gli immancabili lupini bianco e viola. Ma quando arrivi la similitudine pasticcera lascia il posto alla verità, una laguna color cioccolato con îles flottantes azzurre ai piedi di un ghiacciaio maestoso dove, ricorda una targa, due ragazzi tedeschi rimasero dispersi nel 2007.

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LA PESSIMA IDEA

Molti anni fa ho viaggiato in Alaska e ricordo l’effetto del ghiacciaio a un passo dalla strada; ma le lagune e gli iceberg rendono la cosa più pittoresca. E la magia è completa quando bastano pochissimi chilometri in auto per passare dal ghiaccio alla lava, dalla lava alle colline verdi solcate di cascate che cadono da zoccoli di roccia a strapiombo, coperti di verde anche sulle verticali.

Poi arriva il paesaggio che, nel mio immaginario, era associato a questo paese. Andando da Höfn verso Vik, superato il parco nazionale Skaftafell, arriva il momento-Islanda per eccellenza: distese di sassi di lava coperti di muschio giallognolo solcato da rare stradine nere. Per chilometri attraversiamo solo questo. C’è pioggia, nuvole basse, i colori spenti. L’occhio deve vedere oltre, è l’esercizio del possibile, l’arte di cogliere ciò che potrebbe essere, è che in altri momenti è. Che bella foto avrei fatto! Come sarebbe stato bello col sole! E se il meteo avverso immalinconisce il racconto (va detto che in giugno la media di giorni di pioggia è 15 su 30 e in Islanda piove 231 giorni all’anno), posso però assicurare che l’entusiasmo per le rocce coperte di verde e i faraglioni neri di Vik ci fa persino ipotizzare di tornare qui un giorno, per trasformare in presente tutti i condizionali passati.

E a un certo punto della strada, tanto panoramica quanto piovosa, ci viene una pessima idea. All’altezza della Statale 221 si imbocca un sentiero in un campo di lava senza muschio, probabilmente risente ancora degli effetti della famosa eruzione del

Vulcano Eyjafjallajökull nel 2010, che è qui a un passo; si cammina per tre chilometri e mezzo in un deserto verso il mare che non si raggiunge mai e se come noi si è abbastanza tenaci da non mollare nonostante il vento e la pioggia, si raggiunge lo scheletro di un aereo militare americano atterrato qui d’emergenza nel 1973 perché rimasto senza benzina. Si può pure entrare nella carcassa consolati dal pensiero che le persone a bordo si salvarono tutte. Con la via del ritorno fanno 7 chilometri sotto pioggia e vento con i quali battiamo il record di inzuppamento della cascata di Dettifoss. E poiché quando si supera una certa soglia tanto vale andare fino in fondo, dopo una zuppa calda ci vediamo un altro paio di cascate, Skogafoss e Seljalandsfoss: quest’ultima memorabile perché le si cammina dietro! Tanto più bagnato di bagnato fa sempre bagnato.

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P.S. Al ristorante abbiamo seguito un tg islandese. Hanno intervistato la vecchietta che abita in una casa rossa col tetto di erba, a Bakkagerdi. Si intuiva che la vecchietta è perseguitata dai turisti che ronzano con le macchine fotografiche attorno alla sua casa. Non si capiva se ne fosse seccata o onorata. Di sicuro lì attorno a ronzare un paio di giorni fa ha visto anche me!

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