Islanda day 7: i piccoli iceberg

17 giugno 2018

Scritto da: Francesca Magni

Nella deliziosa casa “a formaggino” purtroppo si è dormito poco a causa dei ragazzi in ansia per le pagelle di oggi. In piena luminosa notte uno vagava vicino al fiume e l’altra faceva scricchiolare incessantemente il letto in legno. La mattina, usciti finalmente i quadri dei voti e promossi entrambi con formula piena, festeggiamo con colazione vista fiume e ce la prendiamo comoda: ormai qui è un po’ casa nostra.

Oggi tappa lunghetta, 250 chilometri, ma mai che ci si annoi nemmeno in macchina. Prima di tutto per gli agenti atmosferici e i saliscendi del termometro: nubi nere, nubi bianche, pioggia, 6 gradi poi 9 poi 7 e la strada che oggi costeggia una serie di fiordi con spiagge nerissime popolate di uccellini che ormai conosciamo, quelli che al posto del becco sembra abbiano una carota, le anatre bianche e nere, i beccaccini con un becco lungo sottile e ricurvo… E poi la cosa per cui vado matta: le pecore, ognuna con due agnelli e qualche volta uno è nero. Sono tantissime, non in gregge ma in formazione mamma + due agnelli da ripetere a piacere; gli agnelli imitano ogni gesto della mamma, se si avvicina un’auto lei li guarda, forse in qualche modo li chiama e loro subito la raggiungono, sono di un’obbedienza commovente che mi fa voltare verso il sedile posteriore dove viaggiano gli adolescenti con le orecchie rigorosamente tappate dalla musica. Il viaggio però sembrano apprezzarlo, e anche se lei di fronte a una passeggiata di quattro chilometri direzione ghiacciaio prova a protestare, alla fine dirà che ne è valsa la pena.

Lasciamo l’auto all’imbocco di uno sterrato solo per le 4×4 e ci avviamo nell’immenso spazio aperto in fondo al quale si vede il ghiacciaio Vatnajökull, il più grande d’Europa. Occupa un terzo della superficie islandese e in questo punto, vicino al villaggio di Höfn, spinge una delle sue lingue fino a pochi chilometri dalla strada. Ci incamminiamo lasciando subito lo sterrato sassosa per la landa coperta di muschio; attorno, montagne basse e rossicce in un paesaggio dove non dispiacerebbe girare un film western. L’incanto del muschio ci rapisce, camminiamo molleggiati come su un tappeto su cui a tratti compaiono cuscinetti di fiorellini rosa simili ai non ti scordar di me o di campanule bianche. Filippo corre avanti come sempre, lo troviamo steso nel muschio verde salvia in superficie e scurissimo appena sotto, asciutto e compatto. Andiamo così per quattro chilometri in una passeggiata sensoriale che si conclude con una salitella effetto “blind ahead”. È un attimo e giunti in cima lo scenario cambia all’improvviso: una pietraia mista a fango nerissimo scende ripida verso una laguna di iceberg. E di nuovo è una prima volta.

Gli iceberg sono piccoli e azzurri, galleggiano su un’acqua nel suo stato più denso dove un sasso gettato produce onde concentriche per un tempo lunghissimo. Siamo soli in questo spazio che non è più terra e non è ancora ghiacciaio e lo esploriamo palmo a palmo tastando con circospezione la sabbia sottilissima, gonfia come un materasso ad acqua, aggirando pozze di fango grigio che qua e là ribollono, fotografando i piccoli iceberg che la rifrazione della luce specchia nell’acqua.

Domani vedremo un’altra laguna di iceberg, più grande e famosa, ma questa oggi è solo nostra. La sera ci corichiamo presto nella stanza con terrazzo (e bagno in comune), “Sembra di essere in ospedale che si va a letto con la luce” dice Luigi; in realtà questo never ending day ci permette di viaggiare senza limiti di orario e stasera, per la prima volta dopo una settimana, il sole ha brillato nel suo splendore: roba da occhiali scuri, nell’ora in cui di solito si già a letto.

Buonanotte e buongiorno!

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