una commedia per chi non sa di credere nei fantasmi
(Daniela Mattalia La perfezione non è di questo mondo)

23 luglio 2017

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Scritto da: Francesca Magni

Daniela Mattalia La perfezione non è di questo mondo (Feltrinelli, 2017 € 15, pp. 169).
In un fazzoletto di Torino fra il parco del Valentino e l’ospedale Molinette, va in scena questa commedia che mi ha fatto pensare a una partita a dama. Di qua i vecchi di lì i giovani. Di qua Adriano, ottantenne vedovo da poco della sua Giulietta, e Olga, 75enne che finisce all’ospedale per una gamba rotta; di là Fausto, illustratore precario con fidanzata troppo perfetta e cane di nome Archibald, e Gemma, libraia trentenne che nel tempo libero presta la sua voce a un telefono amico per anziani. Ai personaggi, schierati sulla scacchiera per fasi della vita, accade qualcosa più che di sfiorarsi (bellissima la scena in cui Gemma e Fausto portano al ristorante il vecchio Adriano), le loro storie si intrecciano con meccanismo impeccabile e tutto succede per ragioni di copione: perché questa è una favola ben congegnata che si legge come a guardarla al cinema. Ma dentro c’è un ingrediente speciale, che non è un di più né un contorno, ma il nocciolo di tutto. Ci sono i fantasmi.
Ogni giorno Adriano si infila nella confusione indaffarata dell’ospedale e vaga non visto per trovare Giulietta, che è lì «assorta, come se cercasse qualcosa». Vedersela davanti «i capelli bianchi corti e leggeri, così pallida che le lentiggini sembravano nere» è un segreto che Adriano non avrebbe immaginato di poter condividere con nessuno. Finché, salito su un taxi proprio fuori dall’ospedale, scopre che il tassista, ha un amico, tale Ernesto ex tabaccaio, che da tre anni vaga per gli stessi corridoi e quando Adriano gli chiede «Ma a lei, scusi, non sembra assurdo vederlo il suo amico morto?» (al diavolo se erano impazziti tutti e due, tanto valeva parlarne e bon), quello gli risponde «Lei crede che i fantasmi stanno nei castelli, o nelle case stregate come si vede al cinema? […] I fantasmi dove pensa che sono, dov’è che la gente muore ogni giorno? […] Gli ospedali sono pieni di fantasmi. Solo che ognuno vede il suo».
E mi torna in mente un viaggio da sola sulla Milano-Laghi quando all’altezza di Samarate sento che mia nonna è con me. Un’emozione fortissima e senza tristezza, grido Dove sei, dove sei, ed è un’affermazione più che una domanda, come quando si abbraccia l’uomo di cui si è innamorati, come quando si abbraccia un figlio e si dice Dove sei per dire Sei qui, ti ho trovato. Ho guidato piangendo e ridendo lungo quel tratto di autostrada che lambisce la sua terra natia, con la testa piena di pensieri che non avevo mai fatto e idee che non mi erano mai venute e solo lei poteva avere ispirato, facevo una domanda e lei rispondeva, poi il cielo si è fatto di marmo come una foto a cui qualcuno abbia dato il filtro Contrasto al massimo; ha iniziato a cadere una pioggia potente e luminosa, con il sole che lottava nei cumulonembi dello stesso grigio con cui ho dipinto le pareti del bagno di casa mia, che è così placido e così sereno; infine la pioggia si è ritirata e lei ha detto Lo sai ora, cosa succederà?, e io ho sorriso ancora più forte mentre uscivo dall’autostrada e mi inerpicavo per le colline attorno al lago di Varese. Dopo una curva era lì, l’arcobaleno.
Lo so, non è leale cominciare a parlare di un romanzo e poi andarsene per i propri ricordi, rubando la scena; ma Daniela ha dedicato questo libro a suo padre “che è andato giusto di là” e “a tutti i nostri fantasmi imperfetti”, dunque poteva aspettarselo che qualcuno, leggendolo, avrebbe preso una porta laterale alla storia, sotto braccio al proprio fantasma, fiutando nostalgie personali, il naso a terra come Archibald al parco o come Snap, «meticcio dal comportamento aristocratico, umanoide per meriti acquisiti» che un tempo aveva vissuto con Adriano e Giulietta (ci sono bei cani, in questo libro, e anche un gatto). Daniela lo voleva, io credo. E se a pagina 164 mi sono ritrovata a piangere in modo conclamato vuol dire che il suo libro ha fatto centro. La commedia che ti intrattiene, ti fa sognare e, con il pretesto di raccontarti le storie di altri, ti infila proprio al centro di te stesso.
Un’ultima cosa, voglio dire, e anche questa mi sta a cuore personalmente. La partita a dama fra giovani e vecchi qui si gioca sul riconoscimento delle reciproche qualità: Fausto che si siede noncurante sulla panchina bagnata e Adriano pensa «È da cose come queste che si vede quando uno è giovane»; Adriano che capisce cosa prova Fausto per la fidanzata e lui che pensa «i privilegi della vecchiaia. Arrivi subito al dunque senza girarci intorno». Giovani e vecchi a un punto d’incontro, che è sempre possibile e praticabile. Prima che i secondi diventino fantasmi.

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