Storia di una dislessia – cap. 8
GRAMMATICA DRAMMATICA

6 giugno 2016
di Francesca Magni

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Questo pezzo lo sintitolo “Grammatica Drammatica”. No, sintitolo non è un refuso ma un neologismo, l’ha coniato Filippo anni fa e abbiamo ritenuto giusto acquisirlo almeno al lessico familiare – per quanto, anche lo Zingarelli dovrebbe farci un pensiero. Se la forma di coniugazione più usata è ‘s’intitola’, perché non rendere tutto più logico e… sintitolare? 😉

Un dislessico ha bisogno di logica, per imparare. Ma la grammatica non è logica, è capricciosa, mutevole, ordinata da regole che essa stessa smentisce, l’ho sempre considerata un gattino bizzoso che ora si struscia e un attimo dopo ti graffia. Filippo, capace di sintesi fulminanti, ha archiviato la materia con un cambio di iniziale: GRAMMATICA… DRAMMATICA.

Come dargli torto? Alla sensatezza di passato prossimo e passato remoto, subito chiari a tutti, la grammatica affianca avverbi e preposizioni che si rivelano logici solo a chi abbia già studiato il latino (ad verbum, pre positionem), per non dire poi dell’enigmatico congiuntivo: non so voi, io non ho mai capito perché si chiami così. Ricordo che, benché fossi abile con le parole, non lo memorizzavo. La parola congiuntivo non mi evocava nulla, la confondevo con congiunzione, mi faceva venire in mente congiuntivite, mi mandava insieme la vista. Tuttavia ero e sono, per buona sorte, dotata di un modo mio (ditemi il vostro!) di memorizzare le parole: le fotografo. Per me ogni parola con il relativo suono è una forma grafica, un disegno. È così che uscivo trionfante dai dettati di francese, pronuncia uguale grafema, di rado avevo dubbi su come si dice una parola inglese: per me file si legge “fail” e al più mi capita di leggere un testo italiano con file e scivolare nella pronuncia inglese. Ma sono inconvenienti da poco, e per distinguere congiuntivo da congiunzione mi è bastato fotografarne meglio le lettere finali. Cosa poi mi aiutasse ad associare la parola congiuntivo a ‘che io sia’ e ‘che io fossi’, davvero non lo so, ma succedeva. Bastava ripetere ad alta voce più volte e l’associazione presto o tardi si formava e restava lì, scolpita in un imprecisato punto del cervello, pronta all’uso.

Nel cervello di mio figlio, invece, questo non accade, o richiede tempi molto lunghi e fatiche dall’esito non permanente. Non associa nomi-etichetta e concetti. Sono incalcolabili i fogli su cui gli ho scritto e riscritto le coniugazioni dei verbi; la prima volta era in terza, sembrava averli imparati, ma al compito successivo erano volati via e allora scriviamoli di nuovo, presente e imperfetto, passato prossimo e piuccheperfetto, a coppie perché se c’è una logica è più facile, ma niente, era come scrivere con un pennarello sulla plastica. Intendiamoci, sapeva coniugare perfettamente qualsiasi verbo in ogni modo e tempo, ma non sapeva associarlo all’etichetta modo-tempo. Ancora oggi, la catalogazione è incerta. E il fatto che io pensi che lui possa imparare il latino e il greco facendo a meno di queste etichette, non mi fa certo illudere che troverà insegnanti in grado di capirlo e accettarlo.

“I dislessici escono dall’esperienza scolastica più forti, sviluppano strategie e visioni, alla fine hanno una marcia in più”. Lo ha detto Francesco Riva nel suo bellissimo spettacolo DISlessiA, Dove sei Albert?, 22 anni, attore, dislessico, racconta di un ragazzino come lui, di insegnanti che non capiscono e poi di un maestro Andrea che trova il modo di fargli imparare tutto quello che c’è da imparare. Già, più forti, ma a che prezzo? E quanti molleranno prima, abbandonandosi a sfiducia e disistima? Nessuno dà 10 a un dislessico diceva una ragazzina dotata di realismo, perché i voti nella scuola di oggi non valutano né quello che sai né il progresso che hai fatto: misurano semplicemente la conformità della tua prova (compito, test, verifica, interrogazione) a un modello dato.

Nessuno si preoccuperà di scoprire se Filippo sa tradurre in latino ‘io amai’, perché invece gli chiederanno “il perfetto* del verbo amare”… e il verbo amare non è perfetto quasi mai, e lui, già lo so, si perderà in questo pensiero, si inerpicherà lungo sentieri filosofici, penserà ai poeti e alle canzoni e via, lontano dalla grammatica-drammatica per lande inabitate dove nessuno avrà il tempo, la voglia, la curiosità di seguirlo, e quando lo costringeranno a tornare, sbaglierà la risposta.

Eppure.
So che c’è un eppure, ce n’è sempre uno che permette di scartare di lato e proseguire. Ma vi confesso che stavolta fatico a trovarlo. Gli insegnanti sono come sono, sono come tutti noi, ce n’è di meravigliosi e sensibili e di ottusi e disinteressati. Li ho incontrati tutti, in questo anno di fatiche, colloquio dopo colloquio, mi sembrava di portare il manuale di istruzioni di mio figlio, sa lui funziona così, se prova in questo modo vedrà che risponde giusto. Ma quanti avevano davvero voglia di capire? Per quanti la dislessia è un handicap, un intralcio, una scusa, una fissazione di alcuni, un lavoro in più, una gran palla?!

C’è sempre un ‘maestro Andrea’, anche noi lo abbiamo trovato, è una professoressa intelligente e amante delle vie non convenzionali, è, nel consiglio di classe, una su nove, combatte accanto a noi, è stata la prima a riempire d’acqua la cisterna prosciugata dell’autostima di Filippo. Ma per una goccia che lei riesce a far sgorgare altri lavorano a disseccare e io so che il mio tempo sta per finire: al liceo sarà solo, non potrà certo la mamma portare ai professori il suo manuale di istruzioni. Potrò solo continuare a raccontare e raccontare perché sempre più gente si incuriosisca, conosca, capisca.

A proposito, conoscete Giacomo Stella, docente di Psicologia Clinica e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia? Ha appena scritto un libro meraviglioso, edito da Giunti: Tutta un’altra scuola. Parla di una buona scuola adatta a tutti, dislessici inclusi… presto ve ne parlerò! E… troverò il modo di farne arrivare un po’ di copie nella sala professori della scuola… 😉

Stay tuned!

 

*in latino si chiama “perfetto” il passato remoto

>>continua

Qui tutti i capitoli della storia:

Storia di una dislessia – cap. 1 EPIFANIA

Storia di una dislessia – cap. 2 CREDEVO DI ESSERE SCEMO

Storia di una dislessia – cap. 3 È QUALCOSA

Storia di una dislessia – cap. 4 LA MALEDIZIONE DEI NOMI PROPRI

Storia di una dislessia – cap. 5 SIAMO TUTTI DISLESSICI?

Storia di una dislessia – cap. 6 COSA PROVA UN DISLESSICO A SCUOLA

Storia di una dislessia – cap. 7 LA CERTIFICAZIONE: OGGI È UN MALE NECESSARIO

Storia di una dislessia – cap. 8 GRAMMATICA DRAMMATICA

 

 

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