Storia di una dislessia – cap. 7
CERTIFICAZIONE: OGGI È UN MALE NECESSARIO

6 maggio 2016
di Francesca Magni


Quando la psicologa ci ha chiesto come leggesse a voce alta, suo padre e io ci siamo guardati interdetti: non lo sapevamo. Era sempre stato abilissimo a portare a termine i suoi compiti evitando che noi interferissimo e ci accorgessimo di qualsiasi difficoltà. Ci teneva fuori. Solo una volta, alla fine della seconda, ai maestri avevo manifestato preoccupazione perché ancora non leggeva. Avevano riso, “Ma Filippo è intelligentissimo!”. Appunto: se lo è perché non legge? Ma non avevo portato la domanda fino in fondo (paura? rimozione? ingenuità? pigrizia?); nessuno lo aveva fatto, durante le sue elementari, non i maestri né le nonne, che pure, a posteriori dicono di essersi un po’ insospettite nel vederlo leggere lentamente, né noi che arrivati in quinta non ci capacitavamo di come un ragazzino famelico di storie non iniziasse a leggere libri in autonomia.

“Non riesco ad arrivare al piacere di leggere una storia, se lo faccio da solo, perché impiego troppo tempo a capire cosa c’è scritto”. Oggi, a 14 anni, Filippo si spiega così. Ma per tutte le elementari ha vissuto una contraddizione straziante: era da tutti giudicato bravissimo, ma dentro di sé sapeva di non saper fare una cosa essenziale. Leggere. I giudizi positivi degli adulti gli risultavano infondati, dentro di sé covava un gigantesco stato di malessere e di disistima.

Non sono  rari i casi in cui la dislessia si scopre tardivamente, e sono quelli in cui l’impatto sull’autostima è più devastante. Accettare la certificazione a 12 anni, per Filippo non è stato facile. Però paradossalmente lo ha liberato: prima di tutto dal giudizio implacabile che esercitava su se stesso. E dall’ignoranza di chi gli sta attorno, noi e gli insegnanti.

Oggi ci sono molti movimenti contro la certificazione di dislessia; capita spesso che girino sui social network prese di posizione contro questa ‘marchiatura’ dei ragazzi dislessici. In un mondo ideale sarei la prima a essere d’accordo, come ho già scritto qui: la didattica dovrebbe essere studiata con forme tali da tenere insieme ogni tipo di apprendimento – perché il disturbo di apprendimento dei dislessici è tale solo perché paragonato all’apprendimento standard codificato nel tempo attraverso i protocolli scolastici.
Tuttavia oggi la certificazione è il solo modo per chiedere alla scuola attenzione verso un modo specifico di imparare.

In pochi anni, meno di dieci (la legge che riconosce i DSA è del 2010), in Italia si sono fatti moltissimi passi avanti nel riconoscere la dislessia, diagnosticarla e mettere in atto strumenti per aiutare i ragazzi; io confido che il dibattito continui fino a realizzare che il dislessico non ha qualcosa in meno degli altri, è solo leggermente differente. E che il non dislessico avrebbe grandissimo giovamento dall’utilizzare strumenti di studio come le mappe concettuali, le smart card per memorizzare i nomi stranieri, un approccio grafico all’organizzazione dei contenuto, e anche dall’avere a portata di mano le formule matematiche durante una verifica: il nostro sapere oggi, complice la tecnologia, si sta orientando sempre i più verso forme meno basate sul puro apprendimento mnemonico; oggi l’abilità che abbiamo bisogno di sviluppare non è tenere in testa masse di nozioni, ma saperle utilizzare prendendole dai tanti ‘luoghi di deposito’ di cui siamo dotati e saperle collegare, elaborare, far evolvere. Nessuno si sente stupido se non sa più a memoria i numeri di telefono di amici e familiari: ha semplicemente liberato un po’ della ‘ram’ del suo cervello, che potrà impiegare in modo diverso.

Da quando i professori hanno iniziato a capire in che modo lui riesce a rendere meglio, Filippo si sente più sicuro di sé. La certificazione lo ha rasserenato. Ma resta tristemento vero quello che diceva una compagna alla figlia di una mia amica, dislessica anche lei: “Sei fortunata perché ti danno degli aiuti nelle verifiche. Ma sei sfortunata perché a un dislessico non daranno mai 10″. Ecco, da qui dobbiamo fare ancora molti passi in avanti. È necessario che chi lavora nella scuola capisca veramente cos’è la dislessia (la visione di questo video dovrebbe essere obbligatoria nella formazione degli insegnanti di ogni grado, dalle elementari all’università); e occorre che lo capiscano veramente tutti perché la dislessia (detestabile quel prefisso dis-!) corrisponde a un vasto mondo ancora inesplorato di modi di imparare alternativi, che passano attraverso l’istintiva creazione di collegamenti, di contestualizzazioni, di disegni…

Molto spesso i dislessici prendono appunti disegnando. Pennac trasformava la lettere in tanti omini: scappavano dal foglio e da una classe in cui la sua abilità alternativa non era riconosciuta, e lui veniva solo bollato come somaro; cosa che accadrebbe a un pesce se gli si chiedesse di scalare una montagna…

 

Mia madre, docente universitaria di storia delle dottrine politiche, ricorda sempre la sua studentessa migliore; alle domande non rispondeva con informazioni circoscritte e nozionistiche, ma tratteggiando quadri d’insieme così ricchi e completi che avrebbero potuto essere di per sé lezioni del corso. Quando mia madre le fece i complimenti – non aveva mai visto dominare la materia in modo così ampio e articolato – la ragazza le disse di essere dislessica. «Non imparo l’inglese purtroppo» raccontò. «Però ho grande facilità con il cinese, in cui mi sto specializzando…». Naturalmente la studentessa prese la lode. Usciti dai confini asfittici dei programmi scolastici, nell’istruzione superiore e nella vita, a trionfare è la conoscenza, non il metodo con cui la si raggiunge.

Io spero che questa diventi acquisizione per tutti, anche dentro la scuola e a partire dai primi anni. Lo spero per mio figlio che è dislessico. E per sua sorella, che non lo è.

E qui tutti i capitoli della storia:

Storia di una dislessia – cap. 1 EPIFANIA

Storia di una dislessia – cap. 2 CREDEVO DI ESSERE SCEMO

Storia di una dislessia – cap. 3 È QUALCOSA

Storia di una dislessia – cap. 4 LA MALEDIZIONE DEI NOMI PROPRI

Storia di una dislessia – cap. 5 SIAMO TUTTI DISLESSICI?

Storia di una dislessia – cap. 6 COSA PROVA UN DISLESSICO A SCUOLA

Storia di una dislessia – cap. 7 LA CERTIFICAZIONE: OGGI È UN MALE NECESSARIO

Storia di una dislessia – cap. 8 GRAMMATICA DRAMMATICA

 

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